Pubblichiamo uno stralcio dell’intervento di Giuseppe Iannello in occasione della presentazione del libro “Tra le macerie di Messina”** di M. Gor’kij e M.W. Meyer (traduzioni di F. Mollica e C. Cozzucoli; edizioni G.B.M., 2005) avvenuta il 2 marzo del 2007 presso il Municipio di Messina.

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Andiamo ora all’opera in discussione questa sera. Dobbiamo subito dire, per evitare equivoci anche in futuro, che Gor’kij non fu mai a Messina. Ciò lo possiamo affermare con un grado di certezza pressoché totale che scaturisce in primis dalla lettura attenta del testo e secondariamente dalla conferma di alcuni studiosi che si sono occupati del caso. Gor’kij, riferendosi agli effetti della tragedia sul terreno, non parla mai in prima persona e riporta sempre esperienze altrui, tutte rintracciabili nei giornali dell’epoca (personalmente mi riferisco a quelli russi, che suppongo in molti casi avessero a loro volta come fonte quelli italiani) o riferibili a persone con le quali Gor’kij aveva potuto intrattenersi personalmente nella sua residenza di Capri. In questo senso lo scrittore russo è molto preciso e onesto e virgoletta tutto, non inganna il lettore; d’altronde nel libro non fa mai il minimo accenno a un viaggio da lui compiuto in Sicilia.
Questa premessa necessaria tuttavia nulla toglie all’opera meritoria che Gor’kij svolse con entusiasmo e vigore a favore delle vittime del terremoto e nulla toglie di conseguenza all’operazione editoriale della GBM che per prima in Italia – a quanto mi risulta – si è presa l’onere di far conoscere anche al pubblico italiano questo saggio di Gor’kij, rimasto nell’oblio anche a Messina per 80 anni, fino al 1988 quando comparve la prima edizione.

Qual è, a mio parere, il significato dell’opera e cosa Gor’kij si proponeva con essa? Certamente lo scopo primario era quello di raccogliere fondi per i terremotati – cosa che gli riuscì parzialmente per via del ritardo con cui uscì l’opera; ma, accanto a questa sincera volontà, troppo grande era la tentazione per lo scrittore, rivoluzionario riconosciuto ed esule, di trasmettere in patria un messaggio. L’evento così sconvolgente del sisma lo reclamava quasi da sé. Davanti ad una tragedia di tali proporzioni come non porsi delle domande, di quelle radicali, sull’uomo e la sua condizione in questa terra. Ecco allora che lo scritto gorkiano assunse un significato prettamente “ideologico” che a mio parere è ancora oggi degno di attenzione.

Gor’kij davanti all’ondata universale di solidarietà nei confronti della città colpita dal terremoto mette in secondo piano qualsiasi altro aspetto dei giorni che seguirono alla tragedia: le critiche nei confronti delle autorità per il ritardo e la cattiva gestione dei soccorsi non gli vanno giù, difende senza esitazioni il re e la regina, protagonisti di nobilissime gesta. Insiste sul concetto che davanti alla Forza della Natura siamo tutti uguali: la morte ha colpito senza fare distinzioni e la solidarietà è arrivata da tutte le componenti della società. Il terremoto ha fatto cadere le barriere di classe e perfino i confini tra gli stati; le imprese delle marine straniere, non soltanto quella russa – ci tiene a sottolineare Gor’kij - ne sono state una prova. Tutto ciò in barba ai quei governanti e diplomatici che anche in quei frangenti, continuavano invece a disporre a piacimento dei destini dei loro popoli, discutendo di piani espansionistici e zone di influenza. E qui lo scrittore cita non senza stizza gli allora ministri degli esteri austriaco ed italiano (il barone Erhental e Tommaso Tittoni). Bollando come ignominioso il non affatto velato intento di circoli militari austriaci di approfittare della calamità nazionale per chiudere i conti con l’Italia.

Sembra quasi che Gor’kij si appigli a questa tragedia per invocare una svolta, il terremoto è stato una rivoluzione e questa “rivoluzione” deve continuare. Qualcosa di enorme è avvenuto e qualcosa di enorme deve avvenire. “Di più grande della rivoluzione del 1789” – fa dire ad un personaggio fittizio che discute con altri al ristorante. “Una rivoluzione che deve abbracciare tutto il mondo!” Intanto prosegue Gorkij “giovani forze spirituali … si incamminano per la strada che porta alla fusione di tutti gli uomini”. La sua più che un’analisi razionale della realtà sembra una visione mistica. Questo atteggiamento di Gor’kij non era frutto del momento particolare, dell’impressione che la tragedia gli aveva suscitato, ma sembra pienamente collimare con quello sforzo ideologico-filosofico che lo scrittore stava portando avanti con altri connazionali “rivoluzionari” (Bogdanov e Luno?arskij), quello di dare al marxismo una dimensione anche trascendente, in grado di sublimare le energie del proletariato verso una nuova mistica.

Sono quest’ultime parole dello slavista Zveteremich che ha dedicato al soggiorno in Italia di Gor’kij un saggio ampio e approfondito. “Questa nuova mistica – continua lo slavista – costituiva una vera e propria religione del futuro che passerà alla storia come Bogostroitel’stvo (Costruzione di Dio)”. E questo nuovo credo è espressamente contenuto in La confessione, un’opera che Gor’kij scrive guarda caso proprio nel 1908. Personalmente ritengo che il messaggio che Gor’ki ha voluto inviare ai suoi connazionali in patria, con il libro sul terremoto, abbia molto a che fare con quello de La confessione.

La chiamata alla fusione di tutti gli uomini in un’unica forza creativa non ha però niente di “buonista”. Gor’kij non rinuncia affatto al suo credo rivoluzionario e non rinuncia, anche nell’opera che presentiamo stasera, all’arma pungente della critica: “qual è lo stato – afferma Gor’kij quasi a voler giustificare il governo italiano - che protegge la vita del cittadino? Chi si sforza di equipaggiare al meglio il popolo nella lotta contro la natura? Dove esiste l’amministrazione, l’organizzazione per gli interessi del popolo, e non per la sua sottomissione? Non esiste una simile forza, né potrà esistere fin quando lo stesso popolo non sentirà se stesso come la forza principale e il padrone della terra”. In Gor’kij la chiamata all’unione, alla fratellanza coincide con la chiamata alla rivoluzione: il terremoto fu come un flash, un fotogramma della rivoluzione che sarebbe dovuta essere e alla quale si doveva andare incontro.

Il ragionare di Gor’kij sulla rivoluzione oggi ci può apparire distante ma da esso non si può prescindere se vogliamo pienamente comprendere quest’opera. D’altro canto il ragionare dello scrittore sulla solidarietà ci è certamente più vicino e sostanzialmente meno imbarazzante. Chi infatti nega il valore della solidarietà? (Altra cosa è poi vedere in cosa essa debba consistere). Tuttavia il parallelo e sottointeso ragionare di Gor’kij sulla rivoluzione ci offre più stimoli nella ricerca, anche oggi, di un futuro diverso per la nostra città, la cui identità è rimasta indelebilmente segnata dal sisma. Il terremoto ha distrutto ogni cosa. La rivoluzione /le rivoluzioni l’hanno solo sfiorata.

Permettetemi infine di fare una considerazione e una proposta nello spirito gorkiano a proposito del centenario che ci accingiamo a celebrare. Ricorderemo sicuramente il prossimo anno l’aiuto ricevuto dall’estero e in particolare quello della flotta russa. Mi azzardo a dire: facciamo meno parate militari e predisponiamo più momenti di scambio e aggregazione culturale. Facciamo pure venire le navi della flotta del baltico, ma facciamo soprattutto conoscere qualcosa di quell’immenso patrimonio culturale del paese che quelle navi rappresentano. La vera gratitudine passa attraverso la stima e la conoscenza reciproca. Io, con tutti quelli che a Messina sono per vie diverse legati alla Russia, siamo nel nostro piccolo a disposizione perché questo si possa realizzare.

 

Giuseppe Iannello


Messina, 2 marzo 2007

* Il titolo è indicativo solo dello stralcio della relazione qui riproposto
** L’opera uscì con questo titolo in tedesco, mentre in lingua russa fu intitolata: “Il terremoto in Calabria e Sicilia”

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