Un capitolo dal romanzo inedito in Italia "Per la giusta causa" di Vasilij Grossman nella traduzione di Pietro Zveteremich.

Il romanzo "Per la giusta causa" di Vasilij Grossman rappresenta il primo atto di una dilogia che si conclude in "Vita e destino", presentato recentemente su questo sito insieme a una biografia dello scrittore. Il testo ebbe una gestazione difficile a causa degli interventi che Grossman fu costretto ad apportare, in seguito alle pressioni del regime, per evitare che la censura ne impedisse la pubblicazione. Poiché il romanzo non è ancora stato pubblicato in Italia nonostante il meritato successo di "Vita e destino", riteniamo di fare cosa gradita ai nostri lettori pubblicando un capitolo tradotto per l'antologia "Narratori russi moderni" di Bompiani (1962) dallo slavista Pietro Zveteremich , a cui Russianecho è specialmente legato.

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Sempre, con una chiarezza che non sbiadiva, si ripresentava alla memoria di Novikov la prima notte di guerra. Essa lo aveva sorpreso sul Bug durante un viaggio con una missione dello stato maggiore del distretto. Ne aveva approfittato per raccogliere dati presso i comandanti delle unità che avevano preso parte alla guerra di Finlandia. Intendeva infatti scrivere un saggio sullo sfondamento della linea Mannerheim.
Contemplava tranquillamente la riva occidentale del Bug, le calvizie sabbiose, i prati, i giardini e le casette, le foreste e le abetaie che nereggiavano lontano; ascoltava gli aerei tedeschi che ronzavano come mosche sonnolente nel cielo senza nuvole del governatorato polacco.
Quando vide levarsi del fumo all’orizzonte, oltre il Bug, disse a se stesso: "I tedeschi cuociono il rancio," come se i tedeschi non potessero cuocere altro che che il rancio. Leggeva i giornali, rifletteva sugli avvenimenti militari in Europa e gli sembrava che l’uragano, che aveva imperversato in Norvegia, in Belgio, in Olanda e in Francia, si allontanasse sempre più, trasmigrasse da Belgrado ad Atene, da Atene all'Isola di Creta, e da Creta sarebbe passato in Africa per spegnersi laggiù, nelle sabbie africane. E con il cuore tuttavia gia allora capì che quella calma non era semplicemente la calma di una pacifica giornata d’estate, ma l’orribile, opprimente, soffocante bonaccia che precede lo scatenarsi della bufera. E adesso nella sua memoria Novikov tastava i ricordi aspri e incancellabili che erano diventati suoi compagni inseparabili soltanto dopo il 22 giugno, il giorno della guerra, il giorno che aveva infranto l’epoca di pace. Così gli intimi di un uomo che ha lasciato la vita ne ricordano tutti gli ultimi particolari: il sorriso, un gesto casuale, un sospiro, una parola, e tutto ciò non sembra più casuale, secondario, ma l’avvertimento profondo e pieno di significato dell’incombente fine.
Proprio una settimana prima della guerra, mentre attraversava la larga e acciottolata via centrale di Brest-Litovsk, Novikov si era imbattuto in un militare tedesco, certamente un membro della commissione di rimpatrio. Novikov ricordava il suo elegante berretto con la visiera bordata di metallo e l’uniforme color acciaio delle SS, e la fascia al braccio con il nero segno della svastica dentro un cerchio bianco, e il magro viso altero, e la borsa di pelle chiara color crema, e il nero specchio degli stivali, sui quali non osava posarsi la polvere della strada. Il militare procedeva lungo le piccole case a un piano con una strana andatura, stampando i passi.
Attraversata la strada, Novikov si era avvicinato a un chiosco di bibite e, mentre una vecchia ebrea gli mesceva un bicchiere di sciroppo di frutta, aveva pensato, e poi molte volte aveva in seguito ricordato quel suo pensiero: "Pagliaccio!" ma subito, se ne rammentava, si era corretto: "Pazzo!" e s’era corretto ancora: "Bandito!"
E si ricordava anche che, in quel momento, era nata in lui una sensazione dolorosa di rabbia e di avversione.
Novikov ricordava inoltre che un contadino che in quel momento passava per strada e la donna che gli dava dell'acqua da bere seguivano entrambi con lo sguardo, e con un'identica espressione tesa del viso, il funzionario militare tedesco. Forse essi già presentivano che cosa annunciava quel solitario messaggero in mezzo alla larga via polverosa della città sovietica di frontiera.

 

Tre giorni prima dell’inizio della guerra Novikov pranzò con il capo di uno sbarramento confinario. Faceva eccezionalmente caldo e le tendine di garza non tremolavano neppure alle finestre aperte. E a un tratto, nel silenzio, al di là del fiume echeggiò una cannonata sorda e viscerale e il capo dello sbarramento confinario disse con ira: "Il nostro vicino si raschia la voce!"
Poi, a Voronez, nella primavera dell'anno successivo, Novikov venne per caso a sapere che cinque giorni dopo il loro pranzo quel capo dello sbarramento confinario aveva trattenuto i tedeschi per sedici ore soltanto con il fuoco delle mitragliatrici ed era morto insieme con la moglie e il figlio dodicenne.
Dopo l'invasione della Grecia i tedeschi avevano effettuato sbarchi aerei a Creta. Egli ora si ricordava del rapporto tenuto a questo proposito allo stato maggiore. In molte delle domande poste dai presenti si sentì un senso di preoccupazione: "Esponete dettagliatamente le perdite dell’esercito tedesco." "Si può parlare di un sensibile indebolimento dell’esercito tedesco?" Un biglietto conteneva una domanda esplicita: "Compagno relatore, riusciremo a ricevere rifornimenti dai tedeschi se nei prossimi tempi cadrà il trattato commerciale?"
Ricordava ora come nella notte dopo quel rapporto per un istante provò una stretta al cuore e gli passò per la mente il pensiero: se la Russia resterà fuori della guerra sarà un miracolo, ma non esistono miracoli!
L'ultima notte di pace, la prima notte di guerra!
Quella notte Novikov avrebbe dovuto incontrare il comandante di una brigata di carri armati pesanti. Novikov si trovava presso un reggimento di carri armati e il telefonista non riusciva in alcun modo a metterlo in collegamento con il comando della brigata: la linea non funzionava.
Entrambi maledivano la balordaggine dei telefonisti e nello stesso tempo erano perplessi, perché di solito i telefoni funzionavano benissimo.
Novikov andò allora all’aeroporto militare, perché gli aviatori avevano un collegamento diretto con il comando supremo ed egli contava di servirsi della loro linea. Ma gli aviatori non avevano più alcun collegamento: né diretto né d'altra sorta. La linea appariva interrotta in più punti. Quelle incomprensibili avarie alla linea in una limpida notte d'estate si spiegarono chiaramente soltanto poche ore dopo: i te­deschi stavano già facendo la guerra...
Il comandante di reggimento di caccia invitò Novikov al teatro della città, dove davano Platon Krečet. Ci andarono molti aviatori con le mogli; altri con il padre o la madre o con entrambi, venuti a trovarli dall'interno della Russia. Nel­l'autobus v'erano molti posti liberi, ma Novikov rinunciò allo spettacolo perché aveva deciso di recarsi subito alla brigata.
Era una calda notte di luna, e la strada deserta sembrava bianca fra gli oscuri tigli tarchiati che la costeggiavano. Quando fece per salire in macchina, dalla finestra aperta e vividamente illuminata venne la voce del telefonista: "Com­pagno tenente colonnello, siamo in linea!"