Pietro A. Zveteremich

Aggiornata il 29 Maggio 2009  •  1 Commenti

Il ribelle del Caucaso

La narrativa epica di Iskander


Fazil Iskander I recenti e ancor perduranti moti del Caucaso – come si ricorderà – non hanno avuto principio nell’Armenia e nella Georgia, ma nella piccola repubblica dell’Abchasia, che in quest’ultima è inglobata. Glia Abchasi, che designano se stessi Apsua e nelle iscrizioni assire di tremila anni fa sono menzionati come “Abesla”, vogliono sottrarsi alla tutela dei Georgiani.

Da sempre viventi nel Caucaso, e precisamente nella sua amena regione del nord-ovest, e parlanti una variante dell’ibero-caucasico, gli Apsua fecero parte del Regno della Colchide prima dell’invasione greca e, assai più tardi, nell’VIII-IX sec. d.C. il loro re Leon II sconfisse Bisanzio e fondò il Regno dell’Abchadia, unificando la Georgia occidentale. Caddero poi sotto il dominio dei Georgiani e di altri popoli, ma ciò basta a dirci delle loro radici e dignità storica.

Oggi essi si sono ridestati; e, poiché uno dei più originali scrittori contemporanei di lingua russa, Fazil Iskander, è in realtà un abchaso, nato nel 1929 nella capitale Suchumi, egli è stato eletto a rappresentante e difensore della nazione. Come già avvenne con l’Impero romano, e in tempi moderni con quello austro-ungarico, anche in Urss le etnie soggette adottano per esprimersi la lingua egemone. Così comincia la perdita d’identità nazionale, ma si moltiplica l’udienza. Quella di Fazil Iskander va ben oltre l’Abchasia e il Caucaso, che sono il paesaggio e l’humus nutriente della sua opera, per estendersi a tutta l’Urss e oltre: fino all’America.

Qui fu pubblicato per intero in russo il romanzo Sandro di Cegem (Ann Arbor, 1979), che in patria aveva potuto uscire sono in veste orribilmente ridotta. Nella…[…]…strutturato in novelle-capitoli secondo la tradizione novellistica persiana e araba dalla quale esso trae anche un feconda vena picaresca. A detta dell’autore, qui si vuol raccontare “la storia d’una stirpe, la storia del villaggio di Cegem, la storia dell’Abchasia e tutto il restante mondo come lo vediamo dalle altezze di Cegem”.

Il protagonista è l’ottantenne “zio Sandro”, un contadino inurbato, fattosi furbo e malandrino ma non dimenticato dai compaesani di fronte a cui ama vanagloriarsi. Egli narra le vicende sue e quelle del suo popolo, e quasi dell’intera Georgia da Lenin a oggi.
L’impianto favoloso e il tono di divertita e ironica avventura della narrazione sono spesso pigmentati da acri note d’amarezza e di sarcasmo dal che nasce una satira grottesca e talvolta tragica. Basti ricordare il capitolo-novella “I banchetti di Baldassare”, dov’è tratteggiato il ritratto di Stalin in visita in Abchasia. Non è uno Stalin immaginario bensì reale, rievocato da Sandro con tinte sapienti che plasticamente ne dipingono la satrapica ferocia e l’astuzia crudele. Gli elementi satirici e grotteschi convivono però qui con una diffusa germinazione di poesia: dai quadri mirabili del mondo incantato della campagna abchasa alla stupenda figura di Tali, del cui divenire donna si dà nozione al lettore con lo scricchiolio d’un guscio di noce.

Sandro di Cagem non è tradotto in Italia, dove Iskander è giunto tardi con cose minori, come Il tè e l’amore per il mare (Ed. e/o, 1988), La notte e il giorno di Cik (Ed. e/o, 1989) e La costellazione del caprotoro (Sellerio, 1988). E tuttavia Alberto Moravia ha riconosciuto da scrittore in Iskander uno scrittore, segnalandolo con pertinenti osservazioni sul “Corriere della Sera” (1-6-1988). Il “caproturo” (e non il “caprotoro” come nella traduzione) è un ibrido di capra domestica e caprone caucasico (lat. turus). Lo inventano gli zelanti della pseudogenetica staliniana e per Iskander essa si fa simbolo dell’abnormità improduttiva e inerte.

Gli altri due libri tradotti appartengono al ciclo di Cik, un pubere che è in nuce un Lazarillo de Tormes, e per ora vive in comunione con gli alberi e le bestie e sente il mondo degli adulti come una nuova frontiera da varcare. Egli la vede – e ce la fa vedere – con il suo sguardo vergine eppur critico.

E’ chiaro che un autore di cose del genere non è mai stato nelle file del “realismo socialista”, ma appartiene a quel nucleo letterario che già dai tempi di Chrusciov cercava libertà d’espressione. Iskander esordì allora come poeta. Passò alla prosa nel ’62. Nel ’66 gli diedero notorietà Il caproturo e altri racconti. Nel ’72 prese a pubblicare il Sandro e, con esso, cominciarono i guai con la censura politica. Già aveva firmato la “Lettera degli 80” d’appoggio a Solzenitsyn. Continuò a mantenere una posizione indipendente finché, nel 1979, partecipò a quell’aperta sfida al potere non solo politico che fu l’almanacco illegale “Metrópol”. Vi presentò due racconti: unno del ciclo di Cik e un altro dal provocatorio titolo Il piccolo gigante del grande sesso, che, nelle avventure del fotografo Marat, rivaleggia con le scene petroniane del Sandro di Cegem. Accecato dal suo furore erotico, Marat, capita nel letto di una concubina di Berja, il truce ministro degli interni di Stalin, e se la cava per un pelo.

Dopo lo scandalo di “Metrópol”, Iskander per anni si vide chiuse le porte della stampa e dell’editoria. Ma in Occidente già si traduceva e si scriveva di lui. Nel 1976 il famoso slavista tedesco W. Kasack lo includeva nel suo Lexikon der russichen Literatur ab 1917 (Kröner, Stoccarda). Anch’io gli dedicavo un capitolo nel mio piccolo libro Fantastico grottesco assurdo e satira nella narrativa russa d’oggi (Peloritana, 1980). Nell’Urss di Breznev dovettero fare i conti con la notorietà internazionale raggiunta da Iskander, la quale sconsigliava misure troppo drastiche. Notando le conseguenze negative della cacciata di Nekrasov, Aksënov, Vojnovic, Vladimov e altri, si limitarono a tenerlo in quarantena. Ora le circostanze sono diverse.

In Italia purtroppo s’è dovuto aspettare fino ad ora per veder tradotto questo scrittore che, impadronitosi egregiamente della tradizione letteraria russa – benché ai russi straniero come lo può essere un persiano, un turco e fors’anche un italiano -, ne fa agile veicolo per l’espressione del suo modo epico asiatico-mediterraneo.

Pietro Zveteremich


da "La Sicilia", 20.5.1989