Si udiva male, ma Novikov riuscì tuttavia a parlare: il comandante della brigata si era recato alla base tecnica, dove venivano portati i carri armati per le revisioni e la sosti­tuzione dei motori, e sarebbe ritornato soltanto l'indomani a sera. Così Novikov decise di passare la notte nell'aeropor­to. Chiese che gli assegnassero un posto per dormire, ma l'ufficiale di guardia per tutta risposta sorrise: "C'è quanto posto volete!" Il comando si trovava in una grande casa che una volta apparteneva a proprietari terrieri.
L'ufficiale lo accompagnò in un'enorme stanza illuminata da una forte lampadina da trecento candele. Presso la parete rivestita di legno c'erano un letto di ferro, uno sga­bello e un comodino. Quella stretta branda militare e il co­modino da caserma di compensato stonavano con il lusso delle pareti rivestite di quercia. Egli notò che il lampadario di cristallo non aveva più lampadine e, vicino ad esso, pen­zolava un filo elettrico.
Prima andò a cenare alla mensa: un salone alto e vasto, quasi deserto. Soltanto all'ultimo tavolino due politrabotnik mangiavano della smetana. La cena fu assai abbondante, ma Novikov, che pur non era indifferente alle seduzioni culina­rie, mangio appena la metà di ciò che gli portò la came­riera, una ragazza con la parlata in "o" di Niznigorod. Ella gli servì le cotolette con le patate al forno in una scodella smaltata e, invece, il dolce alla smetana in un piatto di por­cellana con il bordo dorato e il disegno di una pastorella in abito rosa, circondata da bianche pecore. Gli portò lo kvas in un boccale alto e il tè in un bicchiere d'alluminio che scottava le labbra.
"Come mai la mensa è vuota?" domandò Novikov alla cameriera.
"Qui da noi molti si sono portati le famiglie," rispose la ragazza. "Certuni hanno cucina a casa, altri si portano a casa il pranzo della mensa."
Essa sollevò un dito e, con un simpatico sorriso di bam­bina pura e ingenua, tutt'a un tratto disse:
"Certe ragazze che fanno qui le cameriere dicono che cosi non va, perché i giovani hanno moglie e figli, ma io invece penso che sia meglio, così qui per noi e come a casa con la mamma e il papà."
Proferì questa frase con calore, con impeto, evidentemen­te cercando il consenso di Novikov, e forse anche perché era in contrasto su questo punto con le colleghe. Poi di nuovo si avvicinò e disse spaventata:
"Perché avete mangiato cosi poco? Non vi piace la no­stra cucina?" e, chinandosi, aggiunse in modo confidenzia­le: "Resterete qui da noi per molto tempo, compagno te­nente colonnello? Comunque, cercate di non partire, perché la domenica da noi si fa un pranzo coi fiocchi! C'è il gelato e, come primo, šči acido, proprio oggi hanno portato una botte di crauti da Sluck. Perché gli aviatori erano arrabbia­ti che da un pezzo non si faceva più lo šči..."
Ella gli alitava il proprio respiro sulla guancia e gli occhi le brillavano. Se non avessero avuto quell'espressione infan­tile e fiduciosa, Novikov non si sarebbe lasciato commuovere dall'intimo bisbiglio della ragazza, prendendolo per civetteria.

 
Non aveva sonno e andò nel giardino.
Alla luce della luna i larghi gradini di pietra gli parvero al prima momento di marmo. C'era un silenzio asso­luto, persino insolito. Gli alberi sembravano sprofondare nello stagno limpido, tanto immobile e luminosa era l'aria.
Nel cielo stagnava la strana e commista luce della luna e del tramonto della giornata più lunga dell'anno. A oriente si indovinava una torbida macchia luminosa e l'occidente era ancora leggermente roseo. Il cielo era biancastro, diafano, con sfumature di azzurro.
Ogni foglia degli alberi era nettamente disegnata, pa­reva nera pietra incisa, e tutta la mole degli aceri e dei ti­gli appariva come un nero ricamo piatto sul cielo luminoso. La bellezza della natura in quella notte toccava il suo apice, quando gli uomini sono ormai incapaci di notarla e di pensare ad essa, In momenti come questi l'uomo non perce­pisce la pace, lo spazio, il fruscio, il calore, i profumi, il contatto con l'erba e con le foglie come cose ognuna a sé stan­te, fra loro separate, come migliaia e migliaia di parti distin­te che compongono la bellezza del mondo.
Novikov continuava ad aggirarsi per il giardino, a volte si fermava, si voltava indietro a guardare, di nuovo cammina­va, si sedeva, senza pensare a nulla, senza ricordare nulla, in preda soltanto a un senso di rammarico, perché la bellezza della natura non condivide con gli uomini la propria eter­nità.
Ritornò poi nella stanza, si svestì e si accostò ormai con i soli calzini alla lampadina sempre accesa per svitarla, perché mancava l'interruttore, ma la lampadina scottava le dita ed egli prese dal tavolo un giornale per proteggersi le mani.
Allora lo ripresero i consueti pensieri del domani: del rapporto che aveva quasi terminato e presto avrebbe con­segnato al comando del distretto; e che, prima di partire, avrebbe dovuto far cambiare la batteria della macchina e che questo era più comodo farlo presso la base del corpo corazzato.
Ormai al buio si avvicinò nuovamente alla finestra e guardò di sfuggita, distrattamente, il giardino e il cielo. Già lo possedevano i consueti pensieri quotidiani. Più d'una volta si ricordò poi di quello stato d'animo indifferente, sonnolento e distratto con il quale aveva gettato uno sguardo sul silenzioso giardino notturno, l'ultimo sguardo all'epoca di pace.
Si svegliò con la precisa sensazione di una disgrazia, ma senza la minima idea di quale disgrazia si trattasse.
Vide il pavimento incastonato d'alabastro e i pendagli di cristallo del lampadario, scintillanti di riflessi color arancione.
Vide un cielo d'un rosso sporco con neri brandelli di fumo.
Udì un pianto di donne, il lamento delle cornacchie, un boato che faceva tremare i muri e nello stesso tempo sentì nel cielo un rumore flebile e gemente, e, benché quel rumore gemente fosse il più melodico e il più sommesso di tutti i rumori che in quel momento riempivano l'aria, fu proprio esso a indurlo istintivamente a sussultare e a saltar giù dal letto.
E tutto questo egli vide e udì nel corso di una sola frazione di secondo. Cosi com'era, in maglietta e mutande, si precipitò verso la porta, ma, inaspettatamente anche per sé, si disse "Calma!", tornò indietro e cominciò a vestirsi.
Si costrinse ad abbottonare tutti i bottoni della giacca, a mettere bene a posto il cinturone e la fodera della pistola, dopo di che uscì a passi regolari.