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MARINA

Marina Cvetaeva

Una breve biografia

Marina Cvetaeva nacque l'8 ottobre 1892.

Sua madre, Maria Aleksandrovna Mejn-Cvetaeva, pianista di talento, si sforzò di trasmettere alla figlia l'amore per la musica e la pittura.Il padre, Ivan Vladimirovic Cvetaev, era professore di Storia dell'arte presso l'Universita' di Mosca e fu il fondatore e primo direttore del museo Alessandro III, l'attuale museo Puskin.

Marina ebbe dapprima una istitutrice, poi fu iscritta al ginnasio, quindi - quando la tubercolosi della madre costrinse la famiglia a frequenti e lunghi viaggi all'estero - frequentò degli istituti privati in Svizzera e Germania (1903-1905) per tornare, infine, dopo il 1906, in un ginnasio moscovita. Nel 1909 andò quindi da sola a Parigi per frequentare le lezioni di letteratura francese alla Sorbona.

Cominciò a scrivere versi a sei anni, e il suo primo libro, "Album serale" (1910), conteneva le poesie scritte tra i quindici e i diciassette anni.Il libretto usci' a sue spese e in tiratura limitata, ciò nonostante fu notato e recensito da alcuni tra i più importanti poeti del tempo, come Gumiliov, Briusov e Volosin.

Volosin introdusse la Cvetaeva negli ambienti letterari, in particolare in quelli gravitanti attorno alla casa editrice "Musaget". Nel 1911 la Cvetaeva si recò per la prima volta nella famosa casa di Volosin a Koktebel'.Letteralmente, ogni scrittore russo di fama negli anni 1910-1913 soggiornò almeno una volta a casa Volosin, una sorta di ospitale casa-convitto.

A un ruolo deterinante nella sua vita era destinato Sergej Efron, bello, apprendista letterato che la Cvetaeva incontrò a Koktebel' durante la sua prima visita.In una breve nota autobiografica del 1939-40, così scriveva: "Nella primavera del 1911 in Crimea ospite del poeta Max Volosin incontro il mio futuro marito, Sergej Efron. Abbiamo 17 e 18 anni. Decido che non mi separarerò da lui mai più in vita mia e divento sua moglie."

MARINA con aljaLa Cvetaeva vedeva in Efron un nobile e gentile uomo d'azione, proprio il tipo di uomo che amò per tutta la vita.

Sin dalla più tenera età ella fu forte, indipendente e straordinariamente romantica. Molte delle sue "uscite" scioccavano la famiglia: si tagliò i capelli, cominciò a fumare, viaggiava da sola, viveva delle storie d'amore. E all'improvviso sposò il giovane Efron, in pratica uno scolaro, visto che studiava ancora all'Accademia Militare. Tra i suoi eroi più amati c'erano sempre delle nature forti, romantiche, uomini e donne che avevano agito durante la loro vita con decisione e passionalmente - Napoleone, Goethe, Rostand, Sarah Bernardh, Maria Basckirtseva. La leggenda preferita era quella di S.Giorgio. Nelle sue memorie, Nadezda Mandel'stam scrive:

"Marina Cvetaeva mi diede l'impressione di un'assolutamente naturale e sorprendente capricciosità. Mi sono rimasti in mente i capelli corti, l'andatura leggera, quasi infantile e la voce, meravigliosamente simile al suono dei versi di una poesia. Era testarda e bizzarra, ma non solo caratterialmente, anche nell'organizzarsi la vita. Non avrebbe mai accettato di sottomettersi al proprio autocontrollo, come l'Achmatova. Adesso, dopo aver letto i versi e le lettere della Cvetaeva, ho capito che ella cercava dappertutto e in chiunque le delizie e la pienezza dei sentimenti. Questa pienezza le era necessaria non solo in amore, ma anche nella separazione, nell'abbandono, nella disgrazia..."

La primogenita degli Efron, Ariadna (Alja), nacque il 18 settembre 1912, per cui è possibile supporre che la Cvetaeva fosse già incinta quando, ad inizio d'anno, fu celebrato il matrimonio.
Continuò a scrivere e a pubblicare versi, con accoglienze contrastanti da parte delle critica. La raccolta "Versti" (I) si presenta come un diario lirico dell'anno 1916: proprio quell'anno il poeta Mandal'stam si innamorò di lei e la seguì da S.Pietroburgo a Aleksandrov, per poi improvvisamente allontanarsi. La primavera del 1916 è divenuta celebre grazie ai versi di Mandel'stam e della Cvetaeva.

Durante la rivoluzione di Febbraio del 1917 la Cvetaeva si trovava a Mosca.La seconda figlia, Irina, nacque in aprile. La Cvetaeva fu testimone della sanguinosa rivoluzione bolscevica di ottobre. A causa della guerra civile ella si trovò separata dal marito, che si unì, da ufficiale, ai bianchi. Bloccata a Mosca, non lo vide dal 1917 al 1922. Nel suo diario del 1917 c'è un appunto indirizzato a lui: "Se Dio fa questo miracolo - di lasciarVi tra i vivi, vi verrò sempre dietro, come un cagnolino. "

A venticinque anni, era rimasta sola con due figlie in una Mosca in preda ad una carestia così terribile quale mai si era vista. Ella era una diversa per classe di appartenenza, diversa per predilezione (a quei giorni appartiene il ciclo "L'accampamento dei cigni", inneggiante allo Zar e ai bianchi) e tremendamente poco pratica. Non le riuscì di conservare il posto di lavoro che le avevano benevolmente procurato. Durante l'inverno 1919-20 si trovò costretta a lasciare la figlia più piccola, Irina, in un orfanotrofio, e la bambina vi morì nel febbraio per denutrizione. I dettagli di questa morte, dice Nadezda Mandel'stam, sono così terribili che è meglio non ricordarli. Ciò nonostante e pur in condizioni di miseria, la Cvetaeva ebbe ancora la forza di dividere l'ultimo tozzo di pane con altri, ad esempio con Bal'mont, per il quale manifestò una commovente sollecitudine.

Quando la guerra civile ebbe fine, la Cvetaeva riuscì nuovamente a entrare in contatto con Sergej Erfron e acconsentì a raggiungerlo all'Ovest.
Nel maggio del 1922 emigrò e si recò a Praga passando per Berlino. La vita letteraria a Berlino era allora molto vivace (circa 70 case editrici russe), e la Cvetaeva aveva ampie possibilità di lavoro. Nonostante la propria fuga dall'Unione Sovietica, la sua più famosa raccolta di versi, "Versti" I (1922) fu pubblicato in patria; nei primi anni la politica dei bolscevichi in campo letterario era ancora abbastanza liberale da consentire ad autori come la Cvetaeva di essere pubbicati sia al di quà che oltre frontiera.

MARINA A Praga La Cvetaeva visse felicemente con Efron dal 1922 al 1925. Nel febbraio 1923 nacque il terzo figlio, "Mur", ma in autunno partì per Parigi, dove trascorse con la famiglia i successivi 14 anni.

Nei primi anni del periodo dell'emigrazione la Cvetaeva aveva preso parte attivamente e con buone soddisfazioni alla vita culturale russa. Veniva pubblicata spesso, e i suoi modesti onorari erano un sostegno essenziale per la famiglia. Elena Izvol'skaja così ricorda la Cvetaeva nei suoi primi anni a Parigi:

"La mia Marina: quella che lavorava, e scriveva, e raccoglieva la legna, e nutriva la famiglia con le briciole. Lavava per terra, faceva il bucato, cuciva con le sue dita esili una volta, adesso ingrossate dal lavoro. Ricordo bene quelle dita, ingiallite dal fumo, reggevano la teiera, la casseruola, la padella, la gavetta, il ferro da stiro, infilavano il filo nella cruna, accendevano la stufa. Eppure, quelle stesse dita guidavano la penna o la matita sulla carta, sul tavolo della cucina dal quale tutto era stato tolto in fretta. Seduta al quel tavolo, Marina scriveva, - versi, prosa, buttava giù le brutte copie di interi poemi, talvolta tracciava due, tre parole, una sola rima, e molte, molte volte la ricopiava."

Anno dopo anno, tuttavia, fattori diversi, agenti insieme, contribuirono tutti ad un grande isolamento della Cvetaeva, ne comportarono l'emarginazione:

(1) la sua poesia si sviluppava in direzioni che non trovavano la comprensione ed il dovuto apprezzamento di una parte dei lettori - soprattutto tra i critici dell'emigrazione, tempo prima da lei giudicati con durezza;
(2) il numero di posti dove era possibile essere pubblicati, e le dimensioni delle case editrici diminuivano gradaualmente e quasi scomparvero alla fine degli anni trenta;
(3) i circoli letterari sottomessi al potere di dottrine politiche o religiose, acquistavano sempre più il controllo su ciò che si doveva pubblicare sui giornali e le riviste sopravvissute;
(4) la Cvetaeva si rifiutava di maledire frettolosamente tutto ciò che era sovietico - aveva anche osato esprimersi positivamente su Majakovskij, quando questi venne a Parigi nel 1928;
(5) e infine, cosa più importante, Sergej Efron era passato apertamente dalla parte dei Soviet.

Per la Cvetaeva questo cambiamento di fronte era giunto meno inaspettatamente che per gli altri, poiché, come scrisse in seguito, egli veniva da una famiglia di appartenenti a "Narodnaja volja", e il suo vero errore era stato di unirsi dapprima ai bianchi. Comunque fosse andata, egli adesso era entrato in "Rimpatrio nell'Unione" e prese parte attivamente alla vita politica.
Egli riuscì ad attirare dalla propria parte anche i figli: la figlia prediletta di Marina, Alja, lavorava in un giornale comunista francese e in seguito rientrò in Unione Sovietica nel 1937; il figlio Mur la supplicava continuamente di tornare indietro.

MARINA CON ALJA,1914La decisione in tal senso fu in realtà un processo lungo e sofferto.
Ella aveva dei buoni motivi per tornare - compreso il pericolo di una guerra, il fatto che a Mosca vivesse la sorella Anastasia, e il boicottaggio delle riviste parigine.Ma i pericoli che l'attendevano erano evidenti per qualsiasi intellettuale nei primi anni '30. Ma non tutti coloro che avrebbero potuto mettere in guardia la Cvetaeva, lo avevano fatto. Così, quando Pasternak venne a Parigi nel 1935 (nel corso degli anni venti si erano scritti frequentemente e si erano dedicati reciprocamente dei poemi), egli ebbe paura di dirle la verità. Nella sua autobiografia egli cercò di giustificarsi, dicendo che egli non era in sé, soffriva da un anno di insonnia, e non potè per questo consigliarla, quando lei gli chiese cosa le convenisse fare.
"Su quell'argomento non avevo un'opinione definita. Non sapevo cosa dirle, e avevo troppa paura che per lei e la sua meravigliosa famiglia da noi tutto sarebbe stato difficile e poco tranquillo."

Ma la Cvetaeva non conosceva il peggio: Efron aveva cominciato a collaborare con la GPU. Fatti ormai noti a tutti, mostrano che egli prese parte al pedinamento e all'organizzazione dell'uccisione del figlio di Trotskij, Andrej Sedov, e di Ignatij Rejs, un agente della CEKA fuggito in Occidente il cui corpo crivellato dalle pallottole fu trovato nella periferia di Losanna nel settembre del 1937.
Efron si andò a nascondere nella Spagna repubblicana in piena guerra civile, da dove partì per la Russia. La Cvetaeva spiegò alle autorità e agli amici di non avere mai saputo nulla delle attività del marito, e si rifiutò di credere che il marito potesse essere un omicida.

Il destino della Cvetaeva era deciso.
Si trovava completamente isolata nell'ambiente dell'emigrazione (alcuni, come ad esempio Merezkovskij, erano pronti a trovare anche nel fascismo qualcosa di attraente). Già all'inizio degli anni '30, fu costretta a trasferirsi in una casa meno cara. Non le era nemmeno possibile scrivere versi, perché bisognava lavorare alla più "remunerativa" prosa, e ciò nonostante ella viveva in miseria. Il figlio voleva seguire la sorella ed il padre in URSS.
La Cvetaeva ripeteva spesso di non voler tornare - le lettere provenienti dalla Russia erano delle eloquenti testimonianze sulla vita da quelle parti. Ma rileggendo la promessa fatta ad Efron nel 1917, - "Vi seguirò dovunque, come un cagnolino", - ella annotò a margine: "Ed ora lo sto seguendo - come un cagnolino (21 anni dopo)", e scrisse la data, quella del 17 giugno 1938.
MARINANel giugno del '39 si imbarcò a Le Havre per la Russia, dopo avere minuziosamente riordinato e affidato i manoscritti a persone di fiducia, chiaramente rendendosi conto di ciò che le poteva succedere, ma anche conservando la convinzione che i suoi lavori nonsarebbero stati dimenticati.

Quello che la Cvetaeva aveva dovuto soffrire in Francia, sembrò presto una sciocchezza al confronto di ciò che la aspettava in Unione Sovietica.
Nonostante alcuni vecchi amici e colleghi scrittori la vennero a salutare, ad esempio Krucenich, ella capì in fretta che per lei in Russia non c'era posto.
Le furono procurati dei lavori di traduzione, ma dove abitare e cosa mangiare restava un problema. Gli altri la sfuggivano. Tutto sommato, lei era una ex emigrata, una "bianca", aveva vissuto all'Ovest - e questo, dopo le epurazioni ed il terrore di massa degli anni trenta, quando milioni di persone erano state sterminate senza che avessero commesso alcunché, tanto meno delitti come quelli che gravavano sul conto della Cvetaeva.

Nell'agosto del 1939 sua figlia venne arrestata e deportata nei gulag. Ancora prima era stata presa la sorella. Quindi venne arrestato e fucilato Efron - un nemico del popolo, ma soprattutto, uno che sapeva troppo.
La Cvetaeva cerco' aiuto tra i letterati. Quando si rivolse a Fadeev, l'onnipotente capo dell'Unione degli scrittori, egli disse alla "compagna Cvetaeva" che a Mosca non c'era posto per lei, e la spedì a Golicyno (venne fucilato quindici anni dopo).
Nel settembre del 1940 ella scrisse sul quaderno di appunti che...
"già da un anno cerco con gli occhi un gancio... Da un anno misuro la morte. Tutto è mostruoso e terribile. Ingoiare pasticche è disgustoso, buttarsi da una finestra è abominevole e ho un'innata ripugnanza per l'acqua. Non voglio spaventare nessuno (da morta), mi sembra di aver già paura - da morta - di me stessa.
Non voglio morire. Vogio - non essere. Assurdo. Finché sarò necessaria... ma, Dio mio, come sono piccola, quanto poco posso fare! Vivere fino in fondo - è come masticare fino in fondo. Assenzio amaro."

Quando l'estate successiva cominciò l'invasione tedesca, la Cvetaeva venne evacuata ad Elabuga, nella repubblica autonoma di Tataria. Ella si sentiva completamente abbandonata. I vicini l'aiutavano a mettere insieme le razioni alimentari.
Dopo qualche giorno ella si recò nella città vicina di Cistopol', dove vivevano altri letterati; una volta lì, chiese ad alcuni scrittori famosi - Fedin e Aseev - di aiutarla a trovare lavoro e a trasferirsi da Elabuga. Non avendo ricevuto da loro alcun aiuto, tornò a Elabuga disperata. Mur si lamentava della vita che conducevano, pretendeva un abito nuovo. Il denaro che avevano bastava appena per due pagnotte.
La domenica 31 agosto del 1941, rimasta da sola a casa, la Cvetaeva salì su una sedia, rigirò una corda attorno ad una trave e si impiccò.
Lasciò un biglietto, scomparso adesso negli archivi della milizia. Nessuno andò ai suoi funerali, svoltisi tre giorni dopo nel cimitero cittadino, e non si conosce il punto preciso dove fu sepolta.