Critici zelanti a caccia di emozioni editoriali accusano la Mazzucco di aver “scopiazzato” il suo romanzo da Tolstoj.

Le citazioni “nascoste” da Guerra e pace sono tutt’altro che una riproduzione proibita. Costituiscono con tante altre il materiale indispensabile alla creazione artistica postmoderna. “Vita”, vincitore del premio Strega 2003, non fa eccezione e l’autrice non deve giustificarsi.


«Il vecchio Tolstoj emerge quasi alla lettera, quasi alla virgola, in uno dei romanzi italiani più letti e apprezzati degli ultimi anni, e nessuno se ne accorge. Salvo una dottoressa […] Claudia Carmina, che […] consegna le sue scoperte al sito del dipartimento di letteratura». Così inizia l’articolo di Mario Baudino pubblicato sulla “Stampa” il 7 febbraio e dedicato ad una breve analisi del romanzo di Melania Mazzucco “Vita”, premio Strega 2003. Scoppia uno scandalo attorno al caso letterario: la Mazzucco ha copiato, è un plagio. «I 400 giurati dello Strega, […] fior fiore delle patrie lettere, […] non uno che se ne sia accorto».
L’articolo della “Stampa” è agguerrito, l’autore si dichiara «imbarazzato». Il tutto è accompagnato dalle citazioni che mettono a confronto i due autori – M. Mazzucco e L. Tolstoj.  Ai suoi lettori Baudino dice: guardate voi stessi! È evidente! Ha copiato! E probabilmente, sull’onda di copiare tutto e da tutti, anche il Baudino non resiste alla tentazione: gli esempi del presunto plagio sono trascritti tali e quali dal saggio della Carmina in un articolo a fianco, che privo di firma, trae facilmente in inganno il lettore che rischia di attribuire anche questo allo stesso Baudino.

Il nostro critico si domanda se i giurati dello Strega abbiano letto “Guerra e Pace” con la dovuta attenzione e trova la situazione ironica. Certamente! Come hanno fatto ad non accorgersi di questa «impressionante» somiglianza del capitolo del libro della Mazzucco con «un noto» (espressione di M. Baudino) episodio di “Guerra e Pace”? L’episodio è senz’altro noto, ma il signor Baudino sbaglia nel suo articolo a riprodurre i nomi dei protagonisti dell’episodio in questione che tuttavia - è interessante osservare - nel pezzo sulle citazioni copiato dalla Carmina appaiono scritti correttamente. Davvero, un copia-incolla perfetto! Che cosa è questa confusione dei nomi? Un errore di stampa? Una svista dell’autore dell’articolo?

No, pensiamo di no. È chiaro che il noto episodio di “Guerra e Pace” non sia poi così noto, e sospettiamo che né Baudino, né i giurati dello Strega, né tanto meno gli altri lettori del romanzo della Mazzucco, ne erano al corrente prima di leggere il saggio di Claudia Carmina, la ricercatrice di Palermo alla quale appartiene l’onore della scoperta. Con tutta probabilità questa scoperta è stata casuale, il che però non toglie assolutamente il merito né alla Carmina stessa, né al laboratorio filologico di Palermo. Trovare in un grande romanzo una citazione ben nascosta e di  fonte insospettabile è una vera fortuna. Il problema è diverso: a che scopo viene fatto tutto ciò? Partire alla ricerca di possibili difetti e lacune nelle opere studiate o tentare di comprendere meglio l’enigma concettuale dello scrittore?

Qualsiasi sia lo scopo della ricerca, Claudia Carmina è riuscita in parte a realizzarla. La sua scoperta della presenza tolstojana in “Vita” di Melania Mazzucco potrebbe aiutare i lettori a capire più profondamente l’intento della scrittrice. Bisogna ammetterlo: Tolstoj è presente nel romanzo “Vita”, la conferma di questa tesi la troviamo nelle citazioni e nei prestiti dalla celebre opera dello scrittore russo nel romanzo italiano in questione. Ma questo problema  esula dal valore artistico dell’opera letteraria che esiste come una realtà autonoma, a se stante, e deve essere giudicata come tale. Domandare allo scrittore il perché di questo o quel episodio è un po’ ingenuo, infantile e a volte anche inutile.

Claudia Carmina nella sua breve ricerca notava che il romanzo della Mazzucco appartiene senz’altro alla cosiddetta letteratura postmoderna.  Infatti, in “Vita” sono presenti tutti i requisiti necessari per collocare il romanzo sullo scafale del postmoderno. Il romanzo assomiglia molto ad un puzzle che mette insieme  tasselli qualitativamente molto diversi. L’opera della Mazzucco è un romanzo-memoria, dove si mescolano fantasia, notizie storiche, fatti realmente accaduti rielaborati dall’immaginario, ricordi personali della scrittrice stessa. I tasselli del puzzle sono mescolati in modo bizzarro, il che non permette una definizione precisa del genere del romanzo, fornisce tuttavia il pretesto per sperimentazioni spazio-temporali interessanti. La Mazzucco crea una propria mitologia per i suoi personaggi rifiutando i miti reali e inventandone di nuovi che si inseriscono comunque nei sistemi mitologici esistenti. Per illustrare parte di questo nuovo sistema mitologico basti pensare al ruolo che hanno nel romanzo le favole, spesso insolite, o comunque non appartenenti né al mondo italiano, né a quello americano, come, ad esempio, la favola di Lhepsch e Donna albero. La particolarità di questi miti e anche i giudizi a volte non convenzionali che sembrano accompagnare le azioni dei personaggi, crea una scaletta di valori alternativa, leggermente “sfasata” rispetto al mondo reale, il che è caratteristico proprio del postmoderno. Il tema della conoscenza, di un sapere segreto, che nei romanzi postmoderni ha un ruolo importantissimo, quasi principale,  assume nel romanzo della Mazzucco un’importanza inaspettata e si esprime nello sforzo continuo di ricordare e, attraverso il ricordo, di capire.

Nella sua ricerca inoltre la Carmina fa notare come Tolstoj non solo abbia prestato alla Mazzucco alcuni suoi paragrafi ma anche qualcosa di più, si rileverebbe infatti una certa somiglianza tra le storie amorose nei due romanzi – il classico triangolo amoroso che cresce fino a diventare un rettangolo irregolare: una ragazza, il fidanzato, l’amante cattivo e l’amico del fidanzato che prende in sposa la ragazza dopo il tradimento perché il fidanzato non può perdonarla. Una storia inconsueta? Non si può escluderlo, sta di fatto che la scrittrice nel suo romanzo descrive la storia dei suoi nonni. I fatti sono fatti, e la Mazzucco ci tiene molto a trasmetterli fedelmente; il suo romanzo  può essere facilmente usato come libro di consultazione su alcuni episodi storici accaduti all’inizio del XX secolo. La fantasia della scrittrice agisce nel “come” è scritto il romanzo e non nel “cosa”. Sinceramente appare strano che persone reali si mettano ad imitare le trame di Tolstoj, che neppure conoscevano. Al contrario sembra che questo “rettangolo” amoroso sia un fatto di vita (e non soltanto di “Vita”), una storia che può ripetersi, e che si ripete.

Melania Mazzucco crea nel suo romanzo uno spazio artistico-virtuale postmoderno vero e proprio: è presente una simbologia alternativa, diversi livelli di scrittura, ed anche differenti registri linguistici, i quali infine si fondono sino alla comparsa di linguaggi sincretici (come la trascrizione letteraria del linguaggio colloquiale, un misto tra il dialetto semi-dimenticato e l’inglese non ancora imparato e per questo contorto del protagonista).

In un romanzo postmoderno non possono non essere presenti i prestiti e le citazioni. Nel 1971 Roland Barthes, studiando la possibilità di applicazione del decostruttivismo alla letteratura, crea il concetto di Testo, che alcuni ricercatori chiamano anche Ipertesto. Il testo fu definito come lo spazio della fusione di potenziali citazioni, l’oggetto delle quali sono le enunciazioni più svariate facenti parte della cultura. I testi postmoderni nascono dall’esperienza del continuo scambio semiotico. Un costante intercambiare di citazioni e di significati cancella progressivamente la differenza tra la parola propria e quella degli altri, un segno introdotto nella situazione dello scambio diventa una potenziale proprietà di un qualsiasi partecipante allo scambio stesso. È lecito prendere qualsiasi parola da qualsiasi contesto e utilizzarla nel testo ex novo. Non è assolutamente necessario indicare la fonte di tale citazione, anzi, al contrario, lo scrittore la nasconde, volontariamente e non, esprimendo in essa il proprio bagaglio culturale che non può evitare. Lo scrittore è come se invitasse i suoi lettori ad una “caccia” alle citazioni, e questo fa parte di quel gioco linguistico condotto dalla letteratura postmoderna.

Crediamo che tutti gli scrittori appartenenti al postmoderno abbiano ricevuto accuse se non di plagio, di prestiti troppo liberi, di aver usato trame, espressioni, metafore già esistenti e perfino di non mettere le dovute note. Così anche la Carmina non ha resistito alla lusinga: «Il testo imitato non viene ipso facto identificato come tale dal lettore, il quale non è stato preventivamente avvisato della messa in opera della pratica citazionista». Ma l’autore – ha clamorosamente dimenticato la ricercatrice - non è tenuto ad avvisare della presenza delle citazioni, se lo facesse, avrebbe scritto un manuale, un saggio scientifico oppure un articolo di enciclopedia, ma non di certo un’opera artistica. E poi, la creazione è un processo talmente delicato ed enigmatico che lo scrittore stesso a volte non sa in quale momento avviene quel famigerato scambio semiotico, e si diverte moltissimo a scoprirlo insieme ai lettori. Ovviamente, un simile “divertimento” può avere luogo quando lo scrittore non viene accusato di plagio.

Melania Mazzucco non è stata fortunata. L’attenzione del lettore è stata artificialmente concentrata su quelle righe che ricordano tanto Lev Tolstoj. Quelle righe che non sono tutto il romanzo, anzi ne rappresentano solo una piccolissima parte. Ci sono tanti altri prestiti all’interno di questa opera letteraria, ma per ogni lettore sono diversi, perché quando i “campi” culturali personali dello scrittore e del lettore si sovrappongono, non necessariamente coincidono, ed ogni lettore possiede un proprio “campo”. Noi, ad esempio, ci abbiamo trovato articoli di giornale,  paragrafi simili a libri di storia, prestiti da altri scrittori (Charles Dickens è un ottimo candidato come fonte di alcuni passaggi all’inizio del romanzo; nelle immagini dei giovani protagonisti Diamante e Vita sembra di intravedere le sembianze di Oliver Twist o David Copperfield).

Si è parlato molto della strana reazione della Mazzucco alle accuse rivoltegli. Non ha provato neanche a difendersi, anzi, ingenuamente ha dichiarato che «non è stata un’operazione consapevole». Baudino nel suo articolo sviluppa l’intrigo: «il discorso sembrerebbe chiuso. Per lei [per la Mazzucco]. Non per quanti hanno letto “Vita” negli anni». Forse ai lettori si vuole fare credere che la Mazzucco non sia soltanto una plagiatrice, ma anche una bugiarda: non vuole ammettere di aver copiato, dice che le righe di Tolstoj sono «tornate da sole». Chi le può credere … dove andrà a finire la letteratura italiana di questo passo?

Idee del genere fanno grande rumore (per nulla?), attirano l’attenzione. Ma lasciando da parte gli scoop, è necessario capire che i prestiti nel romanzo della Mazzucco non sono un difetto, ma parte organica ed integrante di esso, indipendentemente dalle dichiarazioni della scrittrice stessa. Vogliamo leggere il romanzo “Vita”, oppure analizzare la vita della Mazzucco per capire quale parte della scrittrice riviva nella sua opera? Il problema della collocazione dell’autore all’interno del romanzo postmoderno è importante perché il testo postmoderno presenta una serie di difficoltà che apparentemente escludono una soluzione di tipo tradizionale del problema stesso.

Nel 1968 il già citato Roland Barthes scrisse un piccolo saggio intitolato “La Morte dell’Autore”. In questo saggio Barthes arriva alla conclusione che la scrittura è un’attività impersonale. La letteratura è la Parola, il Logos, e tutti i richiami alla vita interiore dello scrittore non sono altro che luogo comune, superstizione. Per Barthes il testo è uno spazio su più livelli ed è costituito da citazioni che a loro volta si riferiscono a varie fonti culturali. Nessun testo può essere creato “personalmente” da qualcuno: «lo scrittore attinge le lettere dall’immenso dizionario della cultura». L’origine del testo non sta nella scrittura, ma nella lettura. La molteplicità tutta dei significati del testo si concentra nel lettore.

La lettrice Claudia Carmina ha compiuto la sua lettura del romanzo di Melania Mazzucco e vi ha trovato tracce di Lev Tolstoj. Qualcun altro vi troverà altre cose, leggendolo. La  decodificazione dell’opera progredirà ad ogni nuova lettura. Intanto però, le citazioni dello scrittore russo trovate nel romanzo della Mazzucco fanno parte degli elementi di pregio dell’opera perché permettono al lettore di avvicinarsi maggiormente al testo, di riconoscerne righe e situazioni già lette, di sentire l’intrecciarsi dei propri ricordi ed emozioni con nuove storie ed immagini. A patto naturalmente che Tolstoj faccia parte del suo bagaglio culturale.
 

da "Centonove" del 30/03/2006

Alexandra Voitenko