La verità su Pasternak e Zivago raccontata dal grande slavista  in una rarissima intervista rilasciata nel 1986.

Pubblichiamo per gentile concessione della prof. Aleksandra Parysiewicz l’originale audio dell’intervista rilasciata da Pietro Zveteremich alla radio polacca nel 1986 in occasione della riapertura del Teatro Vittorio Emanuele di Messina alla quale parteciparono gli artisti del Teatro dell’Opera di Lodz e molti giornalisti polacchi. La versione che qui pubblichiamo è quella integrale in possesso della Parysiewicz che condusse l’intervista.

 

Di seguito anche il testo scritto, trascritto in occasione della pubblicazione del volume Pietro A. Zveteremich. L’uomo, lo slavista, l’intellettuale (2009) a cura della stessa A. Parysiewicz.

 

Intervista audio a Pietro Zveteremich

 

Trascrizione dell'intervista

Si riprende a parlare del Dottor Živago di Boris Pasternak e per parlare di questo romanzo ci rivolgiamo al prof. Pietro A. Zveteremich, uno dei più noti slavisti d’italia, autore di numerosi libri, saggi e traduzioni dei classici russi e moderni, attualmente docente di lingua e letteratura russa all’Università di Messina. Il prof. Zveteremich è stato il primo traduttore del romanzo in occidente.

Professore, potrebbe raccontare agli ascoltatori della radio polacca come ha avuto il manoscritto del romanzo?

Si era al corrente del fatto che Pasternak aveva in preparazione il romanzo, allora ancora non si conosceva il titolo, per il semplice fatto che sulla rivista «Znamja» n°4 del 1954 erano apparse delle poesie di Pasternak con una sua nota in cui annunciava questo romanzo. Questa pubblicazione fu di per sé una novità notevolissima perché Pasternak non pubblicava da anni nell’Unione Sovietica. l’ultimo suo libro, un piccolo libro di poesie, era uscito durante la guerra, tra il 1944 e il 1945, adesso esattamente non ricordo, e aveva come titolo "Na rannich poezdach" ["Sui treni mattutini"]. Perciò la notizia fece clamore tra i cultori della letteratura russa, io credo non solo in Italia ma anche fuori. Poiché allora io ero consulente della casa editrice Feltrinelli per la letteratura russa, insieme a un suo dirigente che era Valerio Riva, oggi noto giornalista, sollecitammo l’editore a chiedere all’autore, a Pasternak, il testo di questo romanzo. Come era possibile questo? Perché Feltrinelli aveva avuto un contatto con un giornalista mandato dal partito comunista italiano a lavorare presso “Radio Mosca” e costui si era offerto di contattare gli editori sovietici. Gli fu chiesto di avvicinare Pasternak e chiedergli il romanzo, cosa che egli fece. Pasternak gli consegnò l’opera senza particolari  difficoltà, come lo stesso D’Angelo ha raccontato in vari articoli. Come racconta anche la Ivinskaja nel suo libro "V plenu vremeni" ["Prigionieri del tempo"], Sergio D’Angelo portò personalmente il dattiloscritto dell'opera Dottor Živago a Berlino. Il dattiloscritto era composto da 4 grosse cartelle di fogli battuti a macchina, ma l’originale era addirittura in copia su carta-carbone.

Perché a Berlino, Professore?

A Berlino, perché essendo D’Angelo un giornalista italiano che viveva a Mosca non gli era tanto facile avere il visto di ritorno in occidente. In quel momento Berlino invece, essendo al di là, dentro quella che si chiamava ‘la cortina di ferro’, per una persona che vivesse a Mosca era raggiungibile senza particolari procedure di visti. D’altra parte, Berlino ovest era raggiungibilissima per i cittadini occidentali, per un italiano come Feltrinelli, senza particolari visti. ecco, Berlino in quel momento non avendo il muro che la divideva poteva costituire un punto d’incontro in quanto con una metropolitana, con un taxi si passava liberamente da Berlino ovest a Berlino est e viceversa. Così D’Angelo s’incontrò con Feltrinelli a Berlino senza che passasse dalle frontiere. Il libro, che naturalmente era clandestino e non poteva essere mandato per posta o affidato a mani estranee, in questo modo passò facilmente, appunto, la cosiddetta ‘cortina di ferro’.

In quel periodo Lei dirigeva a Roma la rivista «Rassegna sovietica». si dice, che quando l’editore alla fine del maggio 1956 tornando da Berlino Le telegrafò di venire subito a Milano, Lei si chiuse a chiave in una stanza e in alcune ore lesse (o meglio scorse) le mille cartelle del dattiloscritto russo. Il suo giudizio fu entusiastico, ma l’editore Feltrinelli prese tempo per avere maggiori informazioni sull’opera. Più avanti, Professore, Lei mandò un’approfondita recensione nella quale, fra l’altro, scriveva che «il romanzo di Pasternak è una grande cosa e che non pubblicare un libro simile costituisce delitto contro la cultura». È vero che questa recensione Feltrinelli l’ha mandata a Pasternak?

Si. Ne parla anche la Ivinskaja nel libro che ho prima citato. La Ivinskaja ripete questo giudizio che lei crede sia di Feltrinelli non sapendo che l'avevo espresso e scritto io, a un dirigente sovietico di allora che si chiamava Polikarpov, del Comitato Centrale, presso il quale intercedeva perché Pasternak non fosse ulteriormente perseguitato.

È vero che era molto difficile tradurre questo romanzo visto che spesso pare essere una poesia in prosa?

Il romanzo è particolarmente difficile anche perché questa poesia in prosa sovente è di una tale semplicità e limpidezza, come Puškin, per cui tradotta in un’altra lingua perde quello spessore, perde quella risonanza che ha nell’originale. Di modo che occorre scegliere, cogliere con particolar attenzione il lessico, lo stile adatto. Non solo. Il romanzo Dottor Živago, come sa chiunque l’ha letto, contiene anche parti molto complesse da un punto di vista storico, con riferimenti ad epoche e personaggi del primo ’900 russo, in cui i termini non sempre sono facilmente trasmettibili in una lingua straniera. Non solo, ha delle pagine dove ricalca e ricrea il linguaggio popolare, come quando si parla di quella fattucchiera verso la fine del libro. Insomma, è un romanzo, potrei dire con un termine di Bachtin, che Bachtin usò molto soprattutto per Dostoevskij, «polifonico», a più voci, di modo che si riscontrano vari livelli di difficoltà e, in ogni caso, difficoltà diverse, ma tutte difficoltà abbastanza notevoli. Io seppi dal poeta Voznesenskij, che era uno degli allievi prediletti e amico di Pasternak, che la mia traduzione italiana gli era piaciuta in modo particolare perché era riuscita aderente all’originale e nello stesso tempo suonava, come posso dire, bene. Pasternak non conosceva bene l’italiano, ma lo intendeva conoscendo il francese, conoscendo molte lingue, conoscendo il latino.

Una lettera autografa di Pasternak, parte del carteggio incrociato con l'editore Feltrinelli e il traduttore Zveteremich.

Sappiamo che sono insorte difficoltà allai pubblicazione e che nel settembre 1957 Lei riuscì ad andare a Mosca portando con sé una lettera dell’editore Feltrinelli per Pasternak. Ha incontrato personalmente Pasternak?

No, non lo incontrai perché, come si può ben capire, data la situazione d’allora, la pressione enorme che si faceva da parte delle autorità sovietiche, e specialmente da parte dell’Unione degli Scrittori, su Pasternak, i controlli anche, diciamo, di polizia sullo stesso Pasternak, egli mi fece sapere dolendosene attraverso la Ivinskaja, quella che nel romanzo è Lara, che sarebbe stato meglio non incontrarci per non attirare su di lui una maggiore attenzione, dato che gli organi sovietici sapevano benissimo che il libro era stato da me tradotto, che anzi, addirittura stava già quasi per uscire. e avevano intensificato la vigilanza. Tanto che io ebbi un incontro presso l’Unione degli Scrittori, una riunione in cui mi chiesero di fermare la pubblicazione, di ritirare la mia traduzione. Di fronte alla mia risposta che la cosa era impossibile, e intanto non lo volevo ma se anche l'avessi voluto non l’avrei potuto fare, avvenne, potrei proprio dire, un parapiglia.

Il romanzo Dottor Živago, in lingua italiana uscì il 22 novembre 1957, ed è stato pubblicato con un’avvertenza editoriale che ha proposto lo stesso Pasternak. Nell’avvertenza fra altro si dice che è un’opera incompleta. Quale la sua opinione a proposito?

Qui non si tratta di un’opinione, si tratta di fatti molto precisi. Pasternak, così perseguitato per il ‘rumore’ che l’Unione degli Scrittori e certe autorità avevano creato intorno a lui e le minacce che gli venivano fatte, voleva cautelarsi di modo che chiese che si scrivesse che non considerava l’opera del tutto compiuta. Questa era la tesi che le autorità sovietiche volevano che egli sostenesse. Nello stesso tempo Pasternak voleva pubblicare il libro, come scrive in altre lettere, nella forma e nella redazione in cui l’aveva consegnato già a suo tempo a Feltrinelli. Però questa correzione, diciamo, questa insistenza nel dire che lo considerava incompiuto, in un certo modo, lo salvava da critiche e da ostilità più forti. Chiese che in quella nota, ma del resto noi stessi lo volevamo scrivere, dicessimo noi che il romanzo non era da parte nostra giudicato incompleto, ma un’opera definita e compiuta.

Dopo la pubblicazione del romanzo in Italia Pasternak fa pervenire a Lei e alla casa editrice una letterina (sempre in francese, perché fra editore e scrittore era stato convenuto che solo comunicazioni in francese fossero considerate autentiche). Che cosa diceva Pasternak?

Questo fatto del testo in francese, o dei testi e lettere in francese, è molto importante, se si vuole capire quali erano autentiche, delle lettere di Pasternak a Feltrinelli e ai traduttori, e quali invece lui aveva dovuto firmare sotto pressione nonostante la sua contrarietà. C’era appunto l’accordo che qualunque sua comunicazione poteva essere ritenuta vera, valida soltanto se era in francese. Ciò non era a conoscenza dei circoli letterari e delle autorità politiche sovietiche, di modo che le lettere imposte dall’alto a Pasternak e da lui firmate, mandate ai traduttori e/o agli editori affinché il libro non uscisse, quando erano scritte in russo non avevano assolutamente nessun valore, non corrispondevano alla sua volontà. Quello che lui scriveva in francese era per noi la garanzia che veniva direttamente dalla sua mano. E questa lettera in francese diceva, la posso dire in francese o in italiano: «cher monsieur, je vous rends mes meilleures grâces pour vos soins émouvants. pardonnez-moi les injures que mon pauvre sort vous inflige et sera peut-être contraint d’attirer encore. Que notre futur lointain dont l’espoir m’aide à vivre, vous protège». Una lettera come si vede eloquente.

Dato che la traduzione italiana del Dottor Živago è stata la prima nel mondo, si può pensare che abbia sollecitato anche le successive traduzioni, rendendo così più facile l’assegnazione a Pasternak del Premio Nobel?

Infatti io credo che sia avvenuto così. Se, da una parte, si deve dire che Feltrinelli aveva avuto da parte di pasternak il copyright mondiale per cui era anche nel suo interesse, cioè di Feltrinelli, di cedere i diritti ai rispettivi paesi per le traduzioni, dall’altra, la pubblicazione già avvenuta in italiano indusse a un interesse, a una curiosità anche le case editrici straniere. Le quali, a mio parere, stranamente, non ci avevano pensato prima. perché risulta che il testo del Dottor Živago non lo ebbe soltanto Feltrinelli nella primavera del ’56, ma lo ebbero anche altri stranieri fra cui, mi pare, la Jacqueline de Proyart… e non ho capito ancora oggi perché non si premurarono di tradurre come facemmo noi subito il libro. Tanto è vero che tutte le traduzioni successive dopo quella italiana uscirono dal 1958 in poi, cioè circa un anno dopo.

Ringrazio a nome degli ascoltatori polacchi per la sua disponibilità. Grazie Professore.

Aleksandra Parysiewicz

Links

Il carteggio Pasternak-Zveteremich-Feltrinelli con la riproduzione fotografica delle lettere originali inviate da Pasternak.

"Un delitto contro la cultura" , la nota del 25/6/1956 con cui Pietro Zveteremich consigliò a Feltrinelli la pubblicazione del "Dottor Zivago".

la recensione di "Russianecho" al libro P. A. Zveteremich. L’uomo, lo slavista, l’intellettuale

Altri articoli sul "caso Živago" all'interno dello "Speciale" dedicato da Russianecho a Pietro Zveteremich.