“Neravnij brak”
"Matrimonio ineguale" di Pukirev

 

Oggi si può ancora parlare di matrimoni d’interesse? E’ un argomento attuale? Se si pensa a certi paesi orientali, il matrimonio combinato è diffusissimo, specialmente ai piani alti. Per gli occidentali, la questione suscita sempre un certo scalpore, come se fosse qualcosa di impensabile, obsoleto e oltraggioso per le spose “vittime”.

Escludendo i casi clamorosi (la badante che circuisce il vecchio milionario e lo persuade al matrimonio, i matrimoni per regolarizzare gli immigrati…), in Italia il matrimonio, anche quando d’interesse, è sempre mascherato dalla parola amore (“cosa credete, l’ho sposato perché lo amo e credo nel matrimonio, non certo per il suo conto in banca!”), ed è una scelta libera degli sposi. Una sera a cena con amici, e contando tra i conoscenti comuni quanti erano divorziati, mai sposati o single, ne è risultato che forse, se i loro matrimoni fossero stati combinati, avrebbero avuto più fortuna! Paradossalmente, si potrebbe azzardare che hanno più chance di durare, non essendo mossi dalla volubile passione, ma da uno scopo esplicito e dichiarato da subito, che non muta mai nel tempo!

In Russia nell’Ottocento la pratica del matrimonio d’interesse era estremamente diffusa. Un racconto che lo evidenzia è Анна на шее, “Anna sul collo” di Anton Chekhov. La protagonista, la giovane e bella Anna, si sacrifica e decide di sposare il vecchio e poco affascinante funzionario Modest Alekseich (che di non modesto ha solo il conto in banca) per aiutare il padre alcolizzato, caduto in miseria, e il fratellini. Modest è un uomo rigido, ottuso, autoritario e grossolano, che si preoccupa soltanto di ottenere dal suo superiore un’altra decorazione da appendere al collo (qui c’è il gioco di parole tra “Anna al collo”, intesa come l’ambita medaglia dell’ordine di Sant’Anna, oppure Anna, la moglie, a carico). Questo matrimonio forzato ricorda il quadro del 1863 esposto alla galleria Tretyakovskaya di Mosca, del pittore russo Vassilij, intitolato “Невавный брак”, “Neravnij brak” (“Sposalizio ineguale”). Nel quadro si vede un matrimonio secondo rito ortodosso tra un vecchio signore facoltoso, dall’espressione arcigna, e una giovanissima ragazza, dallo sguardo mesto e rassegnato (guarda in basso). C’è chi sostiene che nel compare di matrimonio, l’uomo nell’angolo del quadro a destra, dietro la sposa, Pukirev abbia raffigurato se stesso.

L’Anna del racconto di Chekhov è dunque una martire, votata al sacrificio per il bene economico della famiglia? Niente affatto. La sua situazione si capovolgerà nel momento in cui Anna farà ingresso nell’alta società borghese, ad una festa a cui parteciperà anche “sua Eccellenza”, e verrà ammirata da tutti. Qui conoscerà il giovane e ricco Antimov, di cui diventerà l’amante ufficiale. Non appena Anna si rende conto del suo potenziale (bellezza e giovinezza, che portano più soldi di qualunque impresa economica), da vittima diviene carnefice dell’ignaro marito- padrone, che si permette di prendere in giro apertamente e che tradisce senza scrupoli. Questo è un concetto molto attuale: Anna potrebbe essere la Velina, la Olgettina dei tempi di Chekhov.

C’è chi la paragona a Madame Bovary. Sicuramente ci sono analogie, ma Anna non trasgredisce tradendo il marito con un umile stalliere: ha ben stampati in mente i suoi scopi, tutt’altro che ingenui. Usa le convenzioni a suo vantaggio e se ne beffa. A salvarla da problemi morali è la sua coscienza leggera, la sua bellezza e giovinezza, che non sono fardello, né colpa, né maschera, ma la sua essenza. Anna non soffre perché non pensa, e perché compie un’evoluzione. Il suo scopo inizialmente sono gli altri (la famiglia), poi diviene se stessa e la sua emancipazione. Il fascino non discreto, ma irresistibile dell’alta borghesia la travolge, e in maniera assai prevedibile, la trasforma in una viveur incurante del padre e dei fratelli. Il marito sembra non accorgersi dei tradimenti, tutto preso com’è dall’Anna al collo, piuttosto che da quella in carne ed ossa.

Anna Larenova nel film “Anna a collo”

Happy ending: tutti felici? Sta al lettore giudicarlo. La sensazione che suscita il racconto è, a mio avviso, tutt’altro che spensieratezza. La scena finale, in cui i fratellini e il padre vedono Anna scorrazzare sulla slitta con il suo bell’Antimov e non hanno il coraggio di salutarla, poiché lei non sembra neppure notarli, fa apparire Anna come crudele, incurante e frivola. Ci sorprendiamo integerrimi bigotti nel giudicare Anna: è finalmente felice, e noi non riusciamo a pensare ad altro che al fatto che lei sia un’arrivista senza cuore. Cos’altro avrebbe potuto fare, del resto? Votarsi al martirio e alla sofferenza, vivendo una vita triste al fianco di un uomo che non ama e ha sposato solo per il bene altrui? E’ in quella sottile ma inevitabile sensazione di amarezza, di delusione e disprezzo per l’emancipazione di Anna e il suo aver dimenticato la famiglia, che sta il senso del racconto e la genialità di Chekhov.

Molto bello l’omonimo film sovietico del 54 di Isidor Annenskij, con l’attrice Anna Larenova, star dell’epoca, nel ruolo della bella Anna.

 

* L'autrice Valentina Moretti è blogger ("NonSoloMatrioske"), scrittrice, traduttrice dal russo, giornalista. Collabora con la  rivista online "Moscowita". L'articolo è tratto dal blog per sua gentile concessione.