In Russia il Natale viene festeggiato il 25 dicembre secondo il calendario giuliano. Attualmente in tutto il mondo laico si utilizza il calendario gregoriano che sposta il tutto di 13 giorni, perciò risulta che gli ortodossi festeggiano il Santo Natale il 7 gennaio. Il 6 gennaio invece è la vigilia di Natale. In Russia questo giorno porta il nome di “Sočel’nik”, dalla parola “Sočivo”, il piatto principale e il più tipico del Natale ortodosso. Qui parleremo delle tradizioni natalizie russe, anche se molti popoli slavi ortodossi hanno tradizioni simili.

Il “Sočel’nik” è l’ultimo giorno del digiuno prenatalizio, che per gli ortodossi dura 40 giorni. Questo periodo è diviso in due parti: prima e dopo la festa di San Nicola. La prima parte del digiuno non è molto restrittiva (sono permessi l’olio, il pesce e il vino). La seconda parte dell’attesa del Natale è decisamente più severa – tutti gli alimenti di origine animale sono vietati, e il lunedì, il mercoledì e il venerdì non si utilizza l’olio, ed alcuni preferiscono non accendere neanche il fuoco e non cucinare affatto, limitandosi a mangiare solo un po’ del pane del giorno precedente con un sorso d’acqua.

Ed ecco, finalmente, il 6 gennaio questo periodo di astinenza si avvicina alla fine.

Qualche giorno prima tutta la famiglia partecipa alle pulizie della casa, e anche i bambini dovevano fare qualche cosa per rendere la casa più pulita ed accogliente. Il 6 gennaio non si fa colazione, né si pranza, e soltanto i piccoletti possono mangiare qualcosa a mezzogiorno.

Dopo il tramonto si prepara la tavola natalizia. Il tavolo più grande della casa, perfettamente pulito viene coperto dalla paglia o dal fieno. Sopra la paglia il padrone di casa sparge un po’ di grano. Sopra tutto questo mettono la tovaglia, la migliore della casa, e in ogni angolo del tavolo lasciano uno spicchio d’aglio. Secondo le credenze, l’aglio protegge tutti dalle forze malefiche e dalle malattie. In mezzo al tavolo veniva collocato il piatto con il “Sočivo”.

Il “Sočivo” tradizionalmente si doveva cominciare a preparare prima, perché per questo piatto, simbolico ed antichissimo, serve il grano pulito da ogni impurità. Con il grano preparato e l’acqua cuocevano una pappa non troppo densa, che poi veniva raffreddata e dolcificata con il miele. Separatamente, in un pentolino a parte pestavano i semi di papavero finché non si formava il “latte” di papavero, ci aggiungevano il miele, e poi mescolavano il tutto, il papavero e la pappa di grano. Se il composto risultava troppo denso, ci aggiungevano un poco di acqua bollita e raffreddata. All’ultimo venivano aggiunti le noci. Il piatto deve essere succulento, non denso, non liquido, il grano non scotto ma morbido. Col passare dei secoli, i russi prepararono il “Sočivo” utilizzando altri cereali – l’avena, il miglio, il grano saraceno, e anche il riso (a partire dalla seconda metà del XIX secolo). Al giorno d’oggi nelle famiglie cristiano-ortodosse si continua a preparare il tradizionale “Sočivo” modificandolo. Adesso è ammissibile l’aggiunta di uvetta, di nocciole varie, e addirittura del cocco grattugiato.

Il socivoA parte il piatto principale, il “Sočivo”, sul tavolo venivano collocate altre pietanze che per la cena di vigilia dovevano essere precisamente 12, come gli apostoli. Sul tavolo russo potevamo vedere le crespelle (i bliny), la gelatina di carne, il porcellino da latte cotto intero, un’oca con le mele, il pesce, verdure salate e marinate (data l’assenza praticamente totale delle verdure fresche in Russia nel gennaio innevato). La cena iniziava dopo la comparsa in cielo della prima stella della notte. Essa simboleggiava la stella di Betlemme che ha indicato la strada ai pastori verso Gesù Bambino. Tutta la famiglia si sedeva a tavola, e durante la cena non ci si doveva alzare, né parlare molto. Ancora più importante era evitare di uscire di casa durante la cena della vigilia perché in tal caso si rischiava di fare entrare in casa le forze malefiche. Non si bevevano gli alcolici, ma neanche l’acqua era la benvenuta. Il cibo era accompagnato dal “vzvar”, una bevanda alla base di frutta essiccata bollita e dolcificata con il miele.

C’erano anche i dolci – i biscotti speziati, i cosiddetti “prjaniki”, dipinti a soggetto uno ad uno, e anche i piccoli panini con i ripieni vari, assomiglianti ai pirožki, ma più piccoli e fatti con il semplice impasto di pane. Venivano chiamati “Koljadki”. Questi dolcetti tornavano molto utili la notte di Natale, perché i giovani, mangiato qualche boccone uscivano tutti fuori e giravano i villaggi passando da una casa all’altra e cantando le canzoncine, le “Koljadki” per l’appunto. I padroni di casa dovevano “pagare” i cantori. Ed è proprio a questo punto che la padrona di casa usciva un grande vassoio con i dolcetti e li donava generosamente ai giovani, i quali passata la notte si riunivano insieme per vedere chi aveva vinto la gara di raccogliere più cibo possibile.

Il giorno successivo, dopo aver seguito la solenne Liturgia Natalizia, ci si sedeva a tavolo di nuovo. Ma questa volta né la quantità, né i tipi delle pietanze erano regolamentati. Ogni famiglia metteva sul tavolo il meglio di ciò che aveva, e festeggiava la nascita del Salvatore.

С Рождеством Христовым!

Buon Natale!

Alexandra Voitenko