Il vecchio cuoco

 

Una notte d’inverno del 1786, alla periferia di Vienna, in una piccola casa di legno, stava morendo un vecchio cieco – che un tempo era stato il cuoco della contessa Tun. A dire il vero, non era nemmeno una casa, ma una capanna cadente, situata in fondo al giardino. Il giardino era cosparso di rami marci, abbattuti dal vento. Ad ogni passo i rami scrocchiavano, e allora cominciava a borbottare sommessamente nella sua cuccia il cane da guardia. Anche lui stava morendo, come il suo padrone, di vecchiaia, e ormai non era più in grado di abbaiar e.

Alcuni anni prima, il cuoco aveva perso la vista a causa del calore dei forni. Il sovrintendente della contessa l’aveva da allora sistemato nella capanna e, di tanto in tanto, gli passava qualche fiorino.Insieme al cuoco viveva sua figlia Maria, una ragazza sui diciassette anni. Tutto l’ornamento della capanna consisteva in un letto, delle panche claudicanti, un rozzo tavolo, stoviglieria faentina coperta di crepe e, in ultimo, un clavicembalo – l’unica ricchezza di Maria.

Il clavicembalo era talmente vecchio, che le sue corde cantavano a lungo in sordina in risposta ad ogni rumore che avesse origine lì intorno. Il cuoco, ridendo, chiamava il clavicembalo “il guardiano di casa”. Nessuno vi poteva entrare senza che il clavicembalo lo accogliesse con un vibrante rimbrotto senile.

Maria lavò il vecchio morente e gli fece indossare un freddo camiciotto pulito, poi il vecchio disse:

- Non ho mai amato preti e monaci. Non posso far venire un confessore, eppure davanti alla morte ho bisogno di purificare la mia coscienza.

- Cosa si può fare? – domandò Maria con timore.

- Esci in strada, – disse il vecchio, - e chiedi al primo che incontri di venire in casa nostra a confessare un moribondo. Nessuno te lo rifiuterà.

- La nostra via è così deserta … - sussurrò Maria, si gettò addosso uno scialle e uscì fuori.

Attraversò di corsa il giardino, aprì con fatica il cancelletto arrugginito e si fermò. La strada era vuota. Il vento le gettava addosso le foglie, e dal cielo scuro venivano giù fredde gocce di pioggia.

Maria attese e rimase in ascolto per un bel po’. Finalmente le sembrò che lungo il recinto stesse venendo un uomo che canticchiava. Fece qualche passo per andargli incontro, lo urtò e lanciò un grido. L’uomo si arrestò e chiese:

- Chi siete?

Maria lo afferrò per un braccio e con voce tremante gli riferì la richiesta del padre.

- Va bene, - disse l’uomo con calma. – Benché io non sia un sacerdote, ma fa lo stesso. Andiamo.

Entrarono in casa. Al chiarore della candela Maria vide un uomo magro e di bassa statura. Lui gettò su una panca il mantello fradicio. Era abbigliato con eleganza e sobrietà – la fiamma della candela rifulgeva di tanto in tanto sulla sua giubba nera, sui bottoni di cristallo e il jabot di pizzo.

Era ancora giovane, questo sconosciuto. Scosse il capo proprio come fanno i ragazzi, si aggiustò il parrucchino incipriato sulla testa, rapidamente accostò uno sgabello al letto, si mise a sedere e, piegatosi un po’, fissò allegramente il viso del moribondo.

- Parlate! – disse. Forse, con il potere che mi è dato non da Dio, ma dall’arte di cui sono servitore, allevierò i vostri ultimi minuti e porterò via il peso dalla vostra anima.

- Ho lavorato tutta la vita, finché non sono diventato cieco, - sussurrò il vecchio, e tirò più vicino a sé lo sconosciuto per il braccio. – E chi lavora non ha tempo di commettere peccati. Quando mia moglie si ammalò di tisi – si chiamava Marta – il medico le prescrisse vari medicinali costosi, e dispose di farle mangiare panna e fichi secchi e che bevesse vino rosso caldo, allora io rubai un piccolo piatto d’oro dal servizio della contessa e lo feci in pezzi, che poi vendetti. E’ dura per me adesso ricordare questo fatto e tenerlo nascosto a mia figlia: a lei ho insegnato a non toccare nemmeno una briciola delle cose altrui.

- Qualcuno dei servi c’è andato di mezzo per questo? – chiese lo sconosciuto.

- Lo giuro, signore, nessuno, - rispose il vecchio e scoppiò a piangere. – Se avessi saputo che quell’oro non sarebbe stato in grado di aiutare la mia Marta, non avrei mai rubato!

- Come vi chiamate? – chiese lo sconosciuto.

- Johann Meyer, signore.

- Ebbene, Johann Meyer, - disse lo sconosciuto e pose il palmo della mano sugli occhi ciechi del vecchio, - voi non siete colpevole davanti agli uomini. Ciò che avete fatto non è peccato e non è da ritenersi un furto ma, al contrario, vi può essere ascritto come un atto d’amore.

- Amen! – sussurrò il vecchio.

- Amen! – ripeté lo sconosciuto. – E adesso ditemi pure le vostre ultime volontà.

- Voglio che qualcuno si prenda cura di Maria.

- Lo farò io. Cos’altro volete?

Allora il moribondo inaspettatamente sorrise e disse ad alta voce:

- Io vorrei per una volta ancora vedere Marta, così com’era quando la incontrai in gioventù. Vedere il sole e questo vecchio giardino, quando in primavera fiorisce. Ma questo non è possibile, signore. Non me ne vogliate per queste sciocche parole. La malattia, con tutta probabilità, mi ha definitivamente privato della ragione.

- Bene, - disse lo sconosciuto e si alzò in piedi. – Bene, - ripeté, si avvicinò al clavicembalo e ci si mise a sedere innanzi, su di uno sgabello. – Bene! – disse forte per la terza volta, e tutto a un tratto un suono rapido si diffuse per tutta la casa, come se sul pavimento avessero rovesciato centinaia di biglie di cristallo. – Ascoltate, - disse lo sconosciuto. – Ascoltate e guardate.

Cominciò a suonare. Maria avrebbe ricordato in seguito il viso dello sconosciuto, quando il primo tasto risuonò sotto la sua mano: un pallore straordinario gli ricoprì la fronte e nei suoi occhi ottenebrati oscillava la fiammella della candela.

Il clavicembalo per la prima volta in tanti anni cantava a piena voce. Riempiva dei suoi suoni non solo la capanna, ma l’intero giardino. Il vecchio cane si trascinò fuori dalla cuccia, si mise a sedere piegando da un lato la testa e, pur restando all’erta, pian piano agitava la coda. Cominciò a cadere una neve bagnata, ma il cane si limitava di tanto in tanto a scuotere le orecchie.

- Io vedo, signore! – disse il vecchio e si sollevò un po’ dal letto. – Io vedo il giorno in cui incontrai Marta e lei, per l’imbarazzo, ruppe il bricco con il latte. Era d’inverno, sulle montagne. Il cielo era trasparente come un vetro azzurro, e Marta rideva. Rideva, - ripeté, immergendosi nel mormorio delle corde.

Lo sconosciuto suonava guardando la finestra nera.

- E adesso, - chiese, - vedete qualcosa?

Il vecchio taceva, concentrandosi ad ascoltare.

- Possibile che non vediate, - disse svelto lo sconosciuto, senza smettere di suonare, - come la notte da nera si sia fatta azzurra, poi celeste, e da qualche parte in alto stia già cadendo una tiepida luce, e sui vecchi rami dei vostri alberi stiano sbocciando fiori bianchi. Per me sono fiori di melo, sebbene da qui, dalla stanza, sembrino dei grossi tulipani. Vedete: un primo raggio è caduto sul recinto di pietra, l’ha riscaldato, e ora da lì sale il vapore. Dev’essere che il muschio, imbevuto di neve sciolta, si sta asciugando. E il cielo diventa sempre più alto, sempre più azzurro, sempre più grandioso, e stormi di uccelli volano a nord sulla nostra vecchia Vienna.

- Io vedo tutto questo! – gridò il vecchio.

Il pedale mandò un lieve scricchiolio, e il clavicembalo cominciò a cantare in maniera solenne, come se a cantare non fosse lui, ma centinaia di voci trepidanti.

- No, signore, - disse Maria allo sconosciuto, - questi fiori non assomigliano affatto a dei tulipani. Sono fiori di melo, e sono fioriti in una sola notte.

- Sì, - rispose lo sconosciuto, - sono fiori di melo, ma hanno dei petali molto grandi.

- Apri la finestra, Maria, - chiese il vecchio.

Maria aprì la finestra. Un vento freddo irruppe nella stanza. Lo sconosciuto suonava in maniera molto lieve e lenta.

Il vecchio cadde sui cuscini, respirò avidamente e mulinò le braccia sotto la coperta. Maria gli si lanciò incontro. Lo sconosciuto cessò di suonare. Sedeva immobile al clavicembalo, come stregato dalla sua stessa musica.

Maria lanciò un grido. Lo sconosciuto si alzò e si avvicinò al letto. Il vecchio disse, ansimando:

- Vedevo tutto così nitido, come molti anni fa. Ma non vorrei morire senza sapere … il nome. Il nome!

- Il mio nome è Wolfgang Amadeus Mozart, - rispose lo sconosciuto.

Maria si scostò dal letto e, profondamente, quasi sfiorando con le ginocchia il pavimento, si inchinò al cospetto del grande musicista.

Quando lei si ricompose, il vecchio era già morto. Oltre le finestre l’alba si stava accendendo e nella sua luce c’era il giardino, ricoperto di fiori di neve bagnata.

 

(1940)

traduzione italiana: Simone Corazza

 

Links:

 

"Старый повар", versione in lingua russa.

Konstantin Paustovskij, note biografiche

"Villa Borghese" , racconto (anche nella versione originale in lingua russa) , introduzione di Simone Corazza