NUOVO MEDIOEVO

di Nikolaj Berdjaev

Fazi Editore, anno 2000, 194 pagg.

 

copertina nuovo medioevo

dalla "Repubblica" di sabato 9 dicembre:

Lo spirito antico del popolo russo

Esce "il nuovo medioevo" di Nikolaj Berdjaev

di UMBERTO GALIMBERTI


Capita a tutti di interpretare l'altro a partire dalla propria visione del mondo. Ma quando la propria visione del mondo è tropo schematica o eccessivamente semplificata, dell'altro non capiamo proprio niente.
Dico queste cose a proposito di noi occidentali: europei, e americani soprattutto, che, a partire dalla dominanza economica che condiziona la nostra visione del mondo, abbiamo trascurato lo spirito dei popoli costringendoli nell'angusto schema: comunismo/capitalismo per concludere che il mondo poteva essere globalizzato perché reso uniforme, cioè capitalistico, dopo il crollo del comunismo.

Poi basta una guerra nei Balcani, e già non ci sappiamo più muovere tra piccoli popoli: il serbo, il croato, il bosniaco, l'albanese, dallo spirito profondamente diverso, per la difesa del quale questi popoli non hanno temuto le catastrofi a cui sono andati incontro.
La nostra visione semplificata e materialistica del mondo pensa subito alle ingerenze delle potenze straniere nonché agli interessi economici in gioco, ma allo spirito dei popoli non pensa più. Eppure questo spirito, che è insieme l'anima e il fondo irrazionale di un popolo, sotterraneamente lavora e produce una storia «imprevista» per le categorie semplificate con cui noi guardiamo il mondo, al momento ancora irriducibile al puro economicismo con cui noi lo leggiamo e in parte lo affamiamo.
Dico queste cose dopo aver letto l'opera pià famosa di Nikolaj Berdjaev, Nuovo Medioevo (Fazi Editore, pagg. 192, lire 30.000). Berdjaev, che i manuali di storia della filosofia rubricano tra gli «esistenzialisti cristiani» è un filosofo russo, nato a Kiev nel 1874, che visse prima a Berlino e poi a Parigi dopo essere stato espulso dalla Russia sovietica nel 1922. Invece di iniziare la pur legittima carriera reattiva del risentito, come capitò ad Alexander Solgenitsyn, negli anni del suo esilio prese a indagare lo spirito del popolo russo nel tentativo di capire come mai la Santa Russia, così radicata nel cristianesimo ortodosso, potesse trasformarsi nella terra dell'ateismo militante e del totalitarismo collettivista.
La risposta, per Berdjaev, va cercata non tanto nella concatenazione dei fatti storici, quanto nello spirito che caratterizza un popolo per cui se: «Il francese può essere dogmatico o scettico, il tedesco mistico o critico, il russo è apocalittico o nichilista. È un peso difficile da portare. E infatti, mentre è possibile costruire una cultura in modo scettico o dogmatico, in modo mistico o critico, è impossibile farlo in un modo apocalittico o nichilistico. Apocalisse e nichilismo sono la fine di tutto; entrambi non ammettono il regno intermedio della cultura. Ecco perché il russo trova così penoso partecipare al processo storico, creare una cultura. Egli vuole che la fine arrivi il più presto possibile, che sia tutto o niente».
Ciò è dovuto al fatto che la Russia è rimasta estranea al processo di secolarizzazione ed emancipazione dell'uomo da Dio che ha segnato la fine del Medioevo e l'inizio dell'età moderna. In Russia non c'è stato un Umanesimo, un Rinascimento e un Illuminismo dove l'ateismo, sotteso alla proclamata autonomia della ragione, nel suo lento emanciparsi dalla religione, creava cultura. La Russia ha accolto della modernità occidentale gli ultimi frutti del pensiero moderno, i più antiumanistici e i più escatologici, quindi Nietzsche che annuncia il superamento dell'uomo borghese («il piccolo uomo che ha una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute») in vista dell'uomo del Grande Stile, e Marx che considera l'individualità umana come espressione di una classe, la borghesia, destinata ad essere superata nella futura collettività.
Come fa notare Massimo Boffa, nella sua lucida introduzione al libro di Berdjaev che ha tradotto dal russo, questi messaggi da fine della modernità che arrivano dall'Occidente ben si conciliano con lo spirito russo, che, da un lato ha sempre rifiutato la modernità dell'Occidente e dall'altro ha sempre risposto alla sua inclinazione filantropica che rifiuta le sofferenze del genere umano e se è il caso, come traspare da Dostoevskij a cui Berdjaev ha dedicato uno splendido saggio, non esita a rifiutare anche Dio, se accettarlo vuol dire accettare tutti i dolori del mondo creato da Dio. Questo è l'ateismo russo, un ateismo capace di voltare le spalle anche a Dio in nome del bene dell'umanità. E questo perché, scrive Berdjaev l'ateismo russo è gravido di nichilismo e «il nichilismo è un ascetismo senza Grazia, un ascetismo non in nome di Dio, ma in nome del bene futuro dell'umanità, in nome della società perfetta».
C'è allora da meravigliarsi che un movimento escatologico come il comunismo, ultima espressione radicalizzata dell'escatologia cristiana, incontri il tratto escatologico dell'anima russa che, come ricorda Massimo Boffa nella sua introduzione, non conosce filosofia che non si traduca subito in azione morale, in un'ipotesi di una trasformazione del mondo, per dirla con Lenin, ma anche con Tolstoj, in un Che fare?.
A furia di usare la parola «nichilismo» rischiamo di dimenticare che a coniarla, prima di Nietzsche, è stato proprio un russo, Ivan Turgenev, in Padri e Figli (1862). Da allora questa parola è diventata la parolaguida dell'intelligencija russa che non è mai stata sfiorata dalla filosofia critica di Kant, per cui, scrive Berdjaev: «Il pensiero russo è negativo, ma non critico; la filosofia russa è negazione senza criticismo», e perciò respinge i compromessi e le mezze misure nella soluzione dei problemi della vita perché la legge che conosce è quella del tutto o nulla, essendo: «il popolo russo, dopo quello ebraico, il più messianico del mondo».
Infatti, come ci racconta Massimo Boffa nella sua introduzione, l'idea che la Russia sia stata eletta da Dio per un'alta missione risale al XV secolo, dopo la caduta dell'impero bizantino, quando Mosca fu dichiarata Terza Roma, estremo baluardo della fede ortodossa. Questo mito sopravvisse al grande scisma del XVII secolo e riapparve nella lettura dell'Ottocento (in Bakunin, in Dostoevskij, in Leont'ev) nell'idea che la decadente Europa avesse bisogno di ricevere la luce dall'Oriente. Al termine di questa catena, i bolscevichi, secondo Berdjaev, sono gli eredi di quell'antico slancio messianico: il popolo russo, allora, non avrà realizzato il sogno di Mosca Terza Roma, ma, grazie a loro, ha fondato a Mosca la Terza Internazionale, che, in chiave socialista, risponde alla tensione messianica che caratterizza lo spirito del popolo russo.
La caduta del Muro di Berlino ha decretato la fine di una figura storica di questa tensione, ma non ha estirpato questa tensione escatologica che, come è proprio di ogni escatologia, non esclude esiti nichilistici. Gli europei e soprattutto gli americani, da cui più o meno dipende l'andamento del mondo, bene farebbero a conoscere qualcosa di più dello spirito dei popoli su cui, volenti o nolenti, esercitano la loro influenza. Ma per questo è necessario cultura: storia, letteratura, filosofia, proprio quelle discipline che nelle scuole d'Europa, per non parlare delle scuole americane, vengono sacrificate in nome della competenza tecnica, che non è assolutamente sufficiente per capire il cambiamento del mondo e soprattutto la direzione di questo cambiamento.