La traduzione è di Giuseppe Iannello ed è stata pubblicata in La leggenda di Colapesce a cura di Cavarra Giuseppe, edizioni Intilla, 1998. Il testo russo sul quale è stata effettuata la traduzione è tratto dalla raccolta Morskie zkaski (Le favole del mare) a cura di Cavdara Aladzova, edizioni Sofia Press, (anno non indicato). Successivamente è stato appurato che la suddetta versione russa ricalca quasi integralmente la versione della leggenda raccolta da Italo Calvino nella sua opera Fiabe Italiane Einaudi, 1956. Abbiamo tuttavia voluto mantenere qui la traduzione già edita per meglio trasmettere l'interpretazione in lingua russa della favola. 

 

COLA PESCE

[versione in cirillico]

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C’era una volta a Messina una donna, il cui figlio di nome Cola, dalla mattina alla sera nuotava nel mare. La madre soleva chiamarlo dalla riva:
- Cola! Cola! Esci dall’acqua! Non sei un pesce!

 

Ma, col passare dei giorni, il figlio nuotava allontanandosi  sempre più. E dal continuo gridare la madre s’ammalò al petto. Una volta Cola la costrinse  a gridare così forte  da farle perdere la pazienza e a farla arrivare al punta da esclamare nell’ira:
- Che possa diventare pesce!

 

ColapesceColonna_small.jpg (11309 bytes)Evidentemente le porte del Cielo quel giorno erano spalancate, perchè   la maledizione della madre fu ascoltata e il ragazzo immediatamente divenne metà uomo, metà pesce: Tra le sue dita crebbero le palme come quelle di un’oca ed il suo collo divenne come quello di una  rana. Cola non ritornò più  a terra e la madre, persa ogni speranza di rivederlo, presto morì.

 

La voce che nello stretto, nei dintorni di Messina, fosse apparso un essere metà uomo, metà pesce, arrivò fino al Re. Questi ordinò a tutti i marinai di far sapere a Cola Pesce, appena qualcuno di loro lo avesse visto, che il Re in persona  voleva parlargli. Una volta un pescatore s’inoltrò lontano dal mare  e vide Colapesce che nuotava nelle vicinanze.

 

- Cola, –  disse il pescatore –  il Re di Messina  ti vuole parlare.

 

Cola Pesce si recò subito a palazzo reale. Il Re lo ricevette con un dolce sorriso.

 

- Cola, tu sei un abilissimo nuotatore! Scendi nelle profondità marine, nuota intorno alla Sicilia e dopo mi riferirai dove avrai trovato più profondo e tutto quanto avrai visto.

 

Cola ubbidì e nuotò intorno alla Sicilia. Presto ritornò e raccontò che nelle profondità marine aveva visto montagne, vallate, caverne e pesci straordinari.

 

- La cosa strana  –disse Cola - è che a Punta Faro  non sia riuscito a raggiungere il fondo.

 

- Allora su che cosa si regge   Messina? – esclamò meravigliato il Re. – Immergiti di nuovo e guarda su che cosa si regge la mia città.

 

Cola s’immerse e passò  un giorno intero sott’acqua. Quando riemerse,  disse al Re:
- Messina sta su una roccia  e questa roccia è sostenuta da tre colonne: una integra, un’altra lesionata e la terza mezzo distrutta. Colapescefaro.jpg (13406 bytes)

 

Il Re rimase stupito da queste notizie e mandò Colapesce a Napoli, a vedere cosa si trovasse sotto il vulcano. Nelle vicinanze di Napoli, Cola s’immerse profondamente nel mare e dopo raccontò  di aver visto, lungo il suo cammino, prima un gettito d’acqua fredda, poi calda, e in certi punti delle fonti d’acqua dolce. Il Re non voleva crederci. Ma Cola chiese che gli venissero date due borracce, andò a Napoli, s’immerse e le riempì una d’acqua calda, una d’acqua dolce. Il Re però continuava a non darsi pace al pensiero che a Punta Faro il mare non avesse fondo. Chiamò Colapesce e lo pregò:
- Cola, tu mi devi dire, almeno approssimativamente, che profondità ha il mare a Punta Faro.

 

Cola s’immerse e passò due giorni sott’acqua: Quando riemerse, spiegò che il fondo non l’aveva visto, perché a grande profondità si sollevava una colonna di fumo che intorbidava l’acqua. Divorato dalla curiosità, il Re ordinò :
- E tu tuffati dalla vedetta di  TorreFaro...

 

La torre si trovava all’estremità di Punta Faro. Un tempo stazionava lì una sentinella, che suonava il corno e sventolava la bandiera per avvertire le navi di passaggio delle correnti pericolose. Così Cola si tuffò in mare dalla torre. Il Re  aspettò un giorno, due, tre ma Cola non riappariva. Alla fine riemerse, pallido come un cadavere.

 

-Allora, cosa hai visto laggiù? – chiese il Re.

 

- Una cosa terribile! Ho visto un pesce nelle cui fauci potrebbe entrare una nave intera. Per non finire ingoiato,mi sono nascosto dietro la colonna che sostiene Messina!

 

Il Re ascoltava a bocca aperta, ma non venne a sapere la cosa più importante: che profondità aveva il mare a Punta Faro? La maledetta curiosità non gli dava pace.

 

- No, sua maestà, non m’immergerò più!- disse Cola.
Il Re vide che non gli riusciva di convincere l’uomo-pesce. Allora si tolse la corona, tutta ornata di pietre preziose,e la gettò in acqua.

 

- Trovala, Cola!

 

- Sua  maestà, ma questa è la corona del suo regno!

 

- Si e non  ce n’è un’ altra al mondo!Immergiti e trovala, Cola!

 

- Come vuole, altezza,m’immergerò – rispose Cola -ma il cuore mi dice che non ritornerò più dagli abissi.Ordinate che mi sia data una manciata di lenticchie. Se resterò tra i vivi, ritornerò; ma se emergeranno  le lenticchie, non attendetemi.

 

Cola strinse le lenticchie nel pugno e si tuffò nel mare. Lo aspettarono, aspettarono, e molto tempopassò. Ed ecco che sulla superficie dell’acqua apparvero le lenticchie.

 

Ma fino ad oggi l’aspettano: l’uomo-pesce.