Transiberiana

E’ un mese che son tornato dal lungo viaggio che mi ha portato vagabondo per la Russia, da Mosca a Vladivostok in aereo. E poi in treno, per trentuno giorni, scalando lentamente le sette ore di fuso orario che differenziano Vladivostok da Mosca.
Kabarovsk, Ulan Udé, Irkutsk, Krasnojarsk, Tomsk, Ekaterinburg, Niznj Novgorod, scandite dal ritmo (come spiegarlo?!...) rilassante del treno, dalle betulle dal bianco tronco, dal conversare nei vagoni platskard, mangiando pesce affumicato e sorseggiando tazze di the.
Ora Sergej e Tatjana Nikitin mi cullano con le note di Alexandra mentre, seduto alla scrivania, continuo quell’altro viaggio, già molto più lungo della Transiberiana, verso una meta che a volte già si intravede…
In Russia non ho portato macchina fotografica né preso appunti, non volendo alterare la mia visione del mondo con la telecamera che ruba l’anima, né col segno della scrittura. E’ in me ciò che mi ha impressionato, mentre altre immagini sprofondano verso l’oblio. La memoria fa da rete, con maglie ora larghe ora strette e ne salva qualcuna perché possa conservarla o parteciparla. Come in questa scrittura.
Per fortuna ho trovato amici che mi hanno scattato tante foto con cui ora posso documentare il mio viaggio.

 

I biglietti

La preparazione è durata più del viaggio. Mesi a studiare il percorso, le possibili soste, a procurarmi notizie su città di cui non conoscevo neppure il nome. E poi la ricerca degli orari ferroviari, del modo in cui acquistare i biglietti…Ci sono voluti motivazione e tanta determinazione per non cedere di fronte alle difficoltà.
Per acquistare i biglietti ferroviari bisogna attendere che manchino non meno di 45 giorni alla partenza. Ma, una volta che la data arriva, si può acquistare il biglietto solo per la prima tratta, mentre per le successive si deve aspettare che scattino i fatidici 45 giorni per le successive tappe. Se il viaggio dura un mese non è problema da poco!
Una difficoltà nella programmazione del viaggio è costituita dal fatto che i treni russi viaggiano secondo l’orario di Mosca, che differisce di molte ore rispetto a quello di altre città lungo il percorso della Transiberiana. Cosicché, nell’acquisto dei biglietti, bisogna rapportare l’ora di Mosca (cioè del treno) all’ora locale, per evitare di presentarsi in stazione fuori orario! Tale differenza poi scala via via che si va verso occidente. Attenzione a non telefonare in Italia quando lì è notte! Sui treni russi di lungo percorso si viaggia con posto prenotato e per l’acquisto del biglietto c’è bisogno di fornire tutti i dati anagrafici e addirittura il passaporto. I treni della Transiberiana sono lunghi, oltre 20 vagoni, con una cinquantina di posti per ciascun vagone. E’ molta la gente che viaggia, soprattutto in estate, cosicché può risultare difficile trovare posto. Ma se non c’è posto nella classe kupé (quattro cuccette in scompartimento chiuso) si cerca nella classe platskard (cuccette senza scompartimenti chiusi).
Ma c’è un’altra opzione. In Russia i biglietti vengono attribuiti in numero limitato per ciascuna stazione. Se in una stazione non se ne trovano, un modo per superare la difficoltà è quello di tentare do trovarli in una stazione vicina spostandosi in autobus. E’ quanto mi è successo a Krasnojarsk. Di fronte all’indisponibilità dei biglietti per Tomsk, sono andato in autobus ad Acinsk, e lì mi è stato possibile acquistarli dopo 157 chilometri e quattro ore di viaggio! Quattro ore possono sembrare tante in Italia, ma non lo sono nella dimensione di viaggio della Transiberiana.
L’acquisto in stazione può rivelarsi un problema anche a causa del comportamento non proprio gentile delle addette: donne in genere sbrigative e anche scorbutiche, che non fanno grazia di un po’ di pazienza neppure agli stranieri in difficoltà a comprendere quanto giunge all’orecchio attraverso la voce in microfono che giunge metallica attraverso la spessa vetrata. E’ stato forse il problema maggiore, a volte risolto passando da uno sportello ad un altro, ripartendo da qualche informazione ricevuta al precedente sportello e sperando in un’accoglienza migliore nell’altro; risolto infine quando, a Krasnojarsk, riuscii ad acquistare tutti i biglietti sino a Mosca.
Più persone comunque mi hanno detto che il problema non è solo per gli stranieri a causa di incomprensioni linguistiche. Le difficoltà esistono anche per i russi, con cui le cassiere non si dimostrano gentili. Come in ogni pubblico ufficio. Ma la fatica vale comunque il gran risparmio rispetto al prezzo richiesto dalle agenzie di viaggio. Sempre che siano in grado di procurarli per davvero e non si rivelino truffaldine; come varie agenzie che richiedevano qualche centinaio di euro solo per iniziare ad occuparsi di un viaggio di cui avevo già fornito ogni notizia! Altre si sono dimostrate semplicemente care e impreparate: adducendo la difficoltà del percorso e le conseguenti difficoltà, cercavano soltanto di lucrarci di più. Alla fine attraverso l’agenzia mi sono procurato solo il visto, che ha dovuto essere di tipo business in quanto il viaggio durava 31 giorni. Sarebbe stato invece di tipo turistico, molto più facile da ottenere nonché più economico, se si fosse concluso entro i trenta giorni. Ma questo l’ho saputo dopo! Ed anche il visto, si può procurarlo direttamente in consolato, evitando maggiori spese e lungaggini: basta muoversi per tempo.
A proposito della Transiberiana, sono tante le notizie fuorvianti e non rispondenti al vero: ad esempio, sulle mitiche provodnize, le addette alla manutenzione dei vagoni, assistenti dei viaggiatori. In genere descritte come corpulenti donnoni, in grado di lucidare le pareti dei corridoi con il solo passaggio, le ho trovate invece del tutto normali, lungo gli oltre diecimila chilometri. Certamente energiche e di poche parole, tuttavia disponibili ad intrattenersi in piacevoli conversazioni con i passeggeri nei lunghi tratti tra una stazione e l’altra e comunque in grado di portare il vagone a destinazione ben più pulito di come avviene in tanti treni italiani. Un paio di volte si è trattato di studentesse universitarie che facevano questo lavoro nei mesi estivi per mantenersi agli studi.


Viaggiare

I treni della Transiberiana hanno molti vagoni e attraversarli tutti è un’impresa. A volte si deve farlo per raggiungere, ad esempio, il vagone ristorante. Ma ne vale la pena per avere un’idea più completa del modo di viaggiare dei russi. Il viaggio dura tanto cosicché è bene prenderlo come uno stacco dalle faccende quotidiane.
Una volta saliti, ci si prepara il letto a cuccetta: in basso, oppure in alto, facendo i primi cenni di saluto e cortesia ai compagni di viaggio lì intorno. Chi ha la cuccetta in basso rende comunque disponibile il posto per sedersi durante il giorno a chi è sopra. Ci si tolgono le scarpe e si infilano più comode ciabatte. E iniziano presentazioni e conversazioni punteggiate da lunghi sorsi di the da bicchieri in contenitori decorati, riempiti dal samovar all’inizio del vagone per pochi centesimi di rublo.
in trenoMa il viaggio è lungo, vien fame e presto si passa ai piatti forti. Si aprono grandi fazzoletti e borsoni che contengono di tutto: dal pane ai formaggi, ai salami; cetriolini, pomodori, smetana, frutta, bevande…. Non mancano pranzi più impegnativi, specialmente intorno al Bajkal, a base di pesce affumicato e birra fresca. L’odore è forte e pervade la carrozza: non ci si può sottrarre. L’unico espediente è partecipare al rito accettando l’offerta o acquistandone alla prima fermata dalle babuske che offrono un omul garjacij per cinquanta centesimi di rublo. Il tutto si fa con le mani, che rimangono impregnate a lungo di un odore forte, indimenticabile per sapore ed esperienza!
Ci si sdraia, si ascolta la radio, si risolvono cruciverba, si fa spazio alla provodniza che lava il pavimento, ci si raggruppa per ascoltare qualcuno, particolarmente se straniero. Guardato a lungo con rispetto, oggetto di cortesie e attenzioni formali, alla fine gli si rivolge direttamente la parola e inizia una conversazione che diventa via via più fitta e in breve, da dialogo a due, si fa generale, con tutti che chiedono notizie sull’Italia, sul tempo, i raccolti, la moda, la gente…
Il treno va. Ne osservi la lunghezza in quelle lunghe curve in cui dal finestrino non arrivi a scorgerne la fine. Le betulle ti trascorrono accanto, con le verdi chiome sul tronco alto e bianco, come fanciulle slanciate. Non di rado si attraversa un fiume, tanti fiumi, con tanta acqua, a dire con gli alberi la ricchezza di questo paese. E qualche casetta immersa nel verde a rendere più poetica la scena, o far meditare sugli stenti di chi ci vive…
Il sole filtra attraverso i ricami forati delle tendine del finestrino: A volte scotta. Ma tal’altra non fai a tempo a proteggerti che è già andato via, coperto da un sopraggiunto nuvolone che lo oscura e scarica d’improvviso tanta acqua a rinnovare i colori, a dare frescura alle piante, a suonare una musica allegra di gocce che rimbalzano sui vetri, sulle foglie, sulle pietre, mentre già il sole rispunta , in un’alternanza veloce, in un rincorrersi giocoso e variabile.
Sto leggendo “La steppa” di Cechov, la lettura che forse più si confà a questo lungo trascorrere in un paesaggio che non varia molto, ma non stanca, nel quale puoi scorgere tanti segni di vita che ti suggeriscono la bellezza e la forza della natura, i suoi multiformi aspetti attraverso l’acqua ed i fiori, gli animali e le opere dell’uomo. Alterno la lettura a momenti in cui guardo fuori dal finestrino e perdo la lucidità dell’osservare, immerso in questo mondo di favola.
Alla fine dimenticherò questo libro sul treno: sarà dono a chi lo ritroverà senza averlo cercato.


Le soste

Dopo tante ore il treno rallenta, c’è qualche segnale che fa pensare ad una sosta: una casa, un piazzale, dei viottoli. La vegetazione dirada e si infittiscono case, strade, qualche persona.
Il treno si ferma e la provodniza con energiche manovre apre lo sportello e predispone il predellino per scendere. Ma bisogna ugualmente fare un bel salto per andare giù, perchè il treno è lunghissimo e siamo nelle ultime vetture, fuori dal marciapiede di sosta. Si scende in molti, desiderosi di sgranchirsi le gambe. C’è solo un quarto d’ora; ed è tanto, visto che altre soste non durano più di due minuti, tempo insufficiente per scendere.
E' piacevole scendere per vedere le donne che vendono pesce affumicato, salsicce, uova, dolci, mirtilli, lamponi ai passeggeri del treno.
Ci si guarda intorno un po’ sperduti. Si fa qualche passo. Ed ecco che le babuske vengono incontro. Iniziano domande, contrattazioni ed acquisti. I russi acquistano con sicurezza, gli stranieri osservano e valutano stupiti i prodotti, spesso non riconoscendo i tanti frutti esotici e i vari involtini di carne, verdure, frittelle con patate, con pesce. Alla fine si compra seguendo le sensazioni, chiedendo con lo sguardo conferma circa la bontà dell’acquisto a qualcuno del posto. Si assaggia, prima timidamente, poi via via che il sapore ti prende, in maniera più decisa, per la gran fame ed il fresco che stimola l’appetito.
Si passeggia lungo il binario osservandosi tra viaggiatori, curiosando nei gesti della gente del posto, cercando riscontri tra il loro ed il proprio modo di fare. Spesso su un binario morto c’è qualche vecchia locomotiva, tenuta in bella mostra e dipinta in vivaci colori, a documentare la storia della Transiberiana. Quasi ogni stazione ne ha qualcuna, e talvolta veri musei sulla storia della ferrovia.
Qualcuno, più azzardato, si avventura più lontano verso la parte centrale della stazione, in qualche negozio più fornito.


Perdo il treno!


isola di okhlonE’ ciò che faccio anch’io, a Taigà.
Seguendo altri viaggiatori attraverso qualche binario per raggiungere il piazzale principale e mi infilo in uno spaccio. Mi guardo intorno e, tra prodotti più o meno sconosciuti, scelgo qualche involtino di carne e verdura, con un bicchiere di the caldo, per pochi rubli. Mangio in fretta ed esco per tornare al treno. Ma ecco che, due-tre binari più in là, un treno si muove. Cerco di capire, mentre una provodniza da uno sportello mi urla di far presto. Ho qualche dubbio, ma non sto lì a pensarci: mi slancio e salgo, con il treno già in movimento. Che paura!
La provodniza non mi riconosce; e neanch’io lei. Mi chiede di esibire il biglietto. A vederlo, mi dice che quello non è il mio treno che dovrebbe andare da Irkutsk a Tomsk, dove io sono diretto, mentre questo va in direzione opposta, verso Vladivostok.
Mi assale il panico.
In genere i treni fanno soste dopo varie ore di viaggio…. Ho le valigie sull’altro treno…. Che fare?
La provodniza decisa mi conduce dal capotreno, una decina di vagoni più in là.
Il tipo è seduto con altre persone a discorrere tranquillamente. Tutti mi guardano meravigliati, un po’ ironici, avendo capito che sono straniero e si consultano tra di loro. La situazione non è semplice e capisco che devo fare di tutto per risolverla. Interpreto a sufficienza quanto loro van dicendo, ma ritengo opportuno non dare a intendere che capisco il russo. Mi mostro disperato più di quanto realmente lo sia, chiedo di aiutarmi….
Il capotreno telefona al mio treno, comunica l’accaduto e chiede di tenere sotto controllo le mie valigie.
Intanto c’è lì, poco distante, un signore giovane, sui trent’anni, che sorseggia del the, un po’ in disparte. Dopo essere stato sino ad allora in silenzio, con calma dice che il treno fermerà tra una mezz’ora.
Il capotreno propone allora che dalla prossima stazione posso prendere un taxi e tornare alla stazione di partenza, al mio treno.
Non mi fido. E’ un sistema per scaricarmi e lavarsi le mani.
Dico che non ho soldi, che non mi oriento, che non saprei come fare…
Colpo di scena! Il tipo di prima dichiara di essere un poliziotto. Tira fuori il tesserino, lo mostra al capotreno che lo riconosce. Dopo una concitata discussione tra loro, mi comunicano che il poliziotto scenderà con me alla prossima stazione e mi riaccompagnerà al treno d’origine.
Il poliziotto è tranquillo e infonde anche in me un po’ di calma. Cerco di fare amicizia, visto che sarà la mia ancora di salvezza. Gli parlo, cercando di spiegare la mia situazione che diventerà sempre più complicata se non riesco a raggiungere il mio treno: io non ho colpa, quella perevodniza mi ha incitato a salire su quel treno che non era il mio….Lui mi guarda tranquillo e mi risponde solo:”Net problema!”.
Come faremo?
Scendiamo alla prossima stazione. Andiamo in direzione, ove il poliziotto spiega l’accaduto ed ottiene per me l’autorizzazione a viaggiare sul treno di ritorno senza pagare il biglietto. Poi andiamo in sala d’attesa, mi indica un posto a sedere e mi dice di star lì e non muovermi. Lui tornerà tra mezz’ora. Incredulo, non avendo nulla di diverso da proporre, mi metto a sedere.
Intorno c’è tanta gente. Mi rendo conto di come son messo, con pantaloncini corti – quasi un pigiama - e pantofole su una striminzita maglietta. E’ l’abbigliamento indossato sul treno, dove ti puoi mettere comodo, sdraiarti, mangiare e dormire nelle lunghe ore da una stazione all’altra. Ma qui? Tutti mi riconoscono per straniero e mi guardano, discretamente ma con curiosità. Mi sento in imbarazzo, ma non ho rimedio.
Fortuna che torna il mio poliziotto. Lo saluto cordialmente ed anche lui si dimostra gentile e rilassato. Mi dice che il suo compito è viaggiare in borghese sui treni, per controllare, quindi è ben lieto di questo diversivo.
Saliamo su un treno che torna indietro verso Taigà. E’ un locale, pieno di pendolari. Il poliziotto si dirige verso il capotreno cui spiega la situazione. Ci poniamo a sedere accanto, tra perevodnize in pausa, ferrovieri e poliziotti in divisa: un gruppo di veri russi che discorrono animatamente ma di buon animo. Mi colpisce un poliziotto con i baffi, il viso rubicondo, capelli rossicci e un grande stomaco che vien fuori dalla cintura. E’ quello che tiene banco, più di tutti.
Seguo le loro conversazioni, di tanto in tanto ammiccando e commentando il loro fare con il poliziotto che mi siede accanto ed è divertito dal mio modo di meravigliarmi di tutto.
A questo punto ci presentiamo. Si chiama Vadim. E’ sposato ed ha due bambine. Mi mostra le foto sul videotelefono ed inizia tra di noi un discorrere fitto, come non avrei mai immaginato da lui che si era dimostrato sino ad allora così schivo e taciturno. Mi chiede dell’Italia, di me, del mio viaggio. Ci scambiamo gli indirizzi email…
La conversazione diventa piacevole ed è con stupore che il treno si ferma e Vadim mi dice di scendere: siamo nuovamente a Taigà. A passo svelto percorriamo un lungo marciapiede e attraversiamo vari binari.
Il mio treno è lì che mi aspetta. Vadim, che intanto aveva annotato il vagone, mi accompagna all’interno, sino al mio posto. Nessuno intorno dice nulla. Solo una signora ammicca un po’, come per dire “L’hai scampata bella!”.
Ed è proprio così. Scopro che ho avuto una duplice fortuna: sia con il treno che avevo erroneamente preso, che ha avuto una sosta a breve termine, il che succede raramente; sia con il mio treno, che aveva una eccezionale sosta di tre ore, dovendo attendere una coincidenza per immettersi sul tronco principale della Transiberiana, dopo la deviazione per Tomsk.
Frugo in un borsone e ne traggo una collana. Scendiamo dal treno in sosta con Vadim e salutandolo gliela regalo: per la moglie! Ci promettiamo di tenerci in contatto, di scriverci e mail, chissà, di vederci ancora….Grazie Vadim!


Incontri

L’episodio mi fa ricredere della cattiva reputazione che avevo circa i poliziotti russi, a seguito di una tentata estorsione subita da uno di loro a Mosca in un precedente viaggio. E mi conferma anche un altro aspetto del carattere dei russi: gelidi e rigidi nei ruoli pubblici, estroversi e chiacchieroni nel privato.
Come Roman, un giovane ingegnere, compagno di viaggio per un altro lungo tratto. Dal saluto iniziale, alle prime battute, ad un più fitto discorrere, sempre a farmi domande su tutto. Ricordo come un incubo quando, esausto dopo tanto conversare, sdraiato sulla cuccetta, di basso, lui di sopra, di notte a chiedermi: “Rudgero! come fa a reggersi la torre di Pisa?”
Ugualmente Vadim Grivach, amico di Fernando Bustelli, l’italiano di Krasnojarsk. Di professione ingegnere, ha trovato difficoltà ad inserirsi nel nuovo mercato del lavoro, dopo la liberalizzazione. Ora fa il fotografo. E’ venuto a prendermi alla stazione con Fernando, con una vecchia macchina, e scatta continuamente fotografie che poi mi manderà via internet.
Vorrebbe organizzare in Italia una mostra fotografica sulla Siberia. E ci accompagna sullo Jenissej, a vedere la grande diga di Krasnojarsk, vanto dell’ingegneria sovietica. E poi a cena in un bel ristorante fuori città, ove fotografa all’inizio un gran piatto comune di carne con tanti contorni, ridotto alla fine a pochi avanzi lasciati lì…. per educazione!
in trenoE poi tanti volti, che si affacciano e svaniscono nel gran mare dell’oblio: un ex detenuto pieno di tatuaggi, che scherzava sui suoi misfatti; un ghirghiso espertissimo di internet; una ragazza russa che studiava il francese, che l’amico volle mettere alla prova facendola colloquiare con me e chiedendomi se fosse sufficientemente brava; un armeno che andava al lavoro per costruire strade a 2.000 chilometri da casa e vi avrebbe fatto ritorno dopo un anno per soli 15 giorni; una giovane madre, con un figlio piagnucolone, che aveva tanto interesse a conoscere l’Italia.
In un posto sperduto, attendevo l’autobus su una strada di campagna, quando si fermò una ragazza sotto la pensilina. Cominciò a parlare, in maniera vagamente esaltata, svagata e un po’ vanesia. Parlava in fretta e non capivo tutto quello che diceva: pare andasse a trovare il suo compagno, ricoverato in ospedale. Ma anche lei pareva avesse tanto bisogno di aiuto. Mi mostrò un quaderno ove scriveva le sue cose e decise che dovesse diventar mio, me lo regalava. Non ci fu verso di declinare l’offerta. Ma mi tolsi un anello che avevo al dito, un misero ma colorato anello messicano e glielo donai. Il viso le si illuminò tutto e prese a ringraziarmi, parlava tra sé e si mostrava eccitata per lo scambio, era visibilmente emozionata. Ed io conservo il quaderno.
I volti, le storie, si susseguono in questo viaggio senza fine. Ne prendi nota, ti appunti i nomi, gli indirizzi, ma poi a casa la vita riprende ineluttabilmente il corso di sempre e il resto perde i contorni, svanisce…e forse è bene così… Di italiani ne ho incontrati pochissimi, anche perché avevo organizzato il viaggio in maniera da evitarli, andando da Vladivostok a Mosca e non viceversa, come fa la maggior parte dei turisti indirizzati dalle agenzie.
Ho ascoltato qualche parola di italiano su una spiaggia a Listvianka, sul Bajkal: giusto il tempo di allontanarmi, infastidito da voci sboccate che guastavano la magia del lago. O a Nizny Novgorod, ove invece ho chiacchierato a lungo con una coppia di anziani torinesi, molto esperti di viaggi, che facevano anch’essi il percorso di ritorno verso Mosca, dopo essere stati a Pechino.
Ma gli incontri si fanno anche in stazione, nelle lunghe ore in attesa dei treni, anche di notte.
Come dappertutto, di notte queste sono punto di riferimento di tanta gente, sia in attesa del treno, sia senza fissa dimora, sbandati, che cercano sui sedili delle sale d’attesa un po’ di riposo, il trascorrere delle buie ore notturne, quando la città dorme e nessuno si aggira per le strade.
A volte sono veri reietti, sbandati, che miserevolmente cercano di darsi un tono per sfuggire ai controlli della polizia che implacabile gira dappertutto e controlla i documenti. Non fa complimenti e al minimo sospetto scaccia via o porta in commissariato.
Fu straziante la scena nella stazione di Irkutsk, in piena notte, quando trascinarono via, storcendogli letteralmente le braccia, un povero diavolo ubriaco che con voce rauca urlava la sua protesta. Un poliziotto rilevò i documenti, alcune inservienti spazzarono via le sue misere cose, mentre la gente d’intorno non aveva il coraggio neppure di guardare.
Alcune teste ciondolavano, altri sgranocchiavano semi, silenziosamente immersi nelle misere occupazioni che punteggiano la vita di notte, in stazione, a sette-otto gradi in agosto.


Città
Difficile spiegare come l’aspetto più importante – e forse più bello – del viaggio in Transiberiana sia l’andare in treno e come la visita delle città sia quasi un corollario, un intervallo di questo lungo trascorrere del treno su un territorio immenso, che ne costituisce la caratteristica saliente, giusto il tempo per fare un giro, averne un’idea.
E’ infatti ciò che mi è rimasto più impresso, confondendosi il ricordo delle città in un mosaico dai contorni di giorno in giorno più indistinti.
Ho fatto una decina di soste lungo gli oltre diecimila chilometri percorsi, soffermandomi circa due giorni in ciascuna città. Da Milano, sono atterrato in aereo a Mosca il 28 luglio, intorno alle 16, ora locale. Operazioni non troppo lunghe in aeroporto e subito in taxi all‘hotel Izmailogo, oltre un’ora di percorso e 57 euro di spesa (2.000 rubli). La circostanza mi è bastata per evitare successivamente di prendere altri taxi e servirmi invece dei mezzi pubblici, economici e in genere abbastanza efficienti, con punte di assoluta eccellenza nella metropolitana.
L’Izmailogo è un complesso di quattro grandi hotel costruiti per le Olimpiadi del 1980: enormi ma accoglienti, a cinquanta metri dalla stazione della metropolitana che ti porta in centro in pochi minuti. Il prezzo non è dei più economici: 77 euro (2.700 rubli) in alta stagione, ma c’è al mattino una colazione superlativa, con la più ampia scelta di cibo, occidentale e locale, per cui puoi saltare tranquillamente il pranzo a mezzogiorno. Mosca, del resto, è ormai una delle città più care al mondo. Ma nelle altre città i prezzi saranno notevolmente più bassi!
Il tempo di farmi una doccia e sono già in metro, diretto alla Plosciad Revoliuzii, Piazza della Rivoluzione, da cui a piedi si può andare al Cremlino, Piazza Rossa, Piazza del Maneggio e tutto ciò che il centro ti offre. Non ho più l’emozione di quando l’ho visitata per la prima volta, ma mi prende una piacevole sensazione nel ritrovare luoghi conosciuti, senza alcuna ansia.
Così è anche nelle poche ore del mattino successivo (29 luglio), quando ho solo il tempo per visitare l’Izmailogo vernissage, a pochi passi dall’hotel, un mercato di prodotti tipici russi che vale davvero la pena visitare, sia per i prodotti in esposizione, che per le costruzioni in cui è ospitato: un intero quartiere di case in legno, colorate, che ti proiettano in una dimensione di Russia da favola, lontana dal traffico caotico della città.
L’aereo per Vladivostok parte alle 19,10, ma è necessario muoversi per tempo, cosicché intorno alle 15 lascio l’hotel. Questa volta prendo la metropolitana, sino alla stazione Rechnoy Vokzal e di qui in autobus, sino all’aereoporto Sheremetevo 1, da cui parte il volo per Vladivostok.
Certo, è un peccato che una metropoli come Mosca non abbia un collegamento diretto tra l’aeroporto ed il centro, ma pare che stiano prolungando la linea della metropolitana e ciò diventerà possibile in un prossimo futuro. Lasciando Mosca, si lascia un mondo in cui ancora è facile orientarsi, con tanti turisti, anche italiani, cui rivolgersi in caso di bisogno.

VladivostokA Vladivostok si entra in un’altra dimensione. Si è a sette ore di fuso orario da Mosca e nove da casa. Difficile incontrare turisti occidentali.
Vi arrivo alle 10,50 del 29. Il tempo è andato all’indietro di un po’ di ore!
La città, che sino a un decennio addietro era vietata agli stranieri per motivi militari, mi accoglie con un solicello tiepido che aiuta a familiarizzare con il posto, consente persino di prendere un po’ di sole sul lungomare. Vi è tanta gente che passeggia, conversa, seduta a chioschi e bar. In maggioranza sono giovani, spigliati e per nulla diversi da quelli di casa nostra. La mia presenza comunque, pur discreta, non sfugge a nessuno. Mentre sono seduto ad un chiosco, mi salutano un paio di ragazze che mi chiedono notizie circa la mia provenienza. Rimangono meravigliate della mia pronta risposta in russo e con fare disinvolto si siedono accanto e giù a chiedere chi sono, come mai sono lì, dove vado, cosa faccio, dove ho imparato il russo.
Tra una domanda e l’altra mi invitano a prendere da un cartoccio che contiene pezzetti di pesce affumicato: molto buono. Diventa d’obbligo ordinar della birra: una vera delizia, ghiacciata, sul sapore salato del pesce. Natascia non è di Vladivostok: è lì per qualche faccenda. Il giorno dopo torna a Kabarovsk e si dice ben lieta di accompagnarmi in visita nella sua città, che è la prossima meta del mio viaggio. Ci annotiamo i numeri telefonici.
La giornata trascorre passeggiando, conversando con persone diverse, di strada in strada, attraverso un traffico denso e a volte caotico, con scarichi di vecchi camion che sbuffano fumo nero che stringe alla gola, pur in spazi molto ampi. Ma poi vi sono giardini, ampi parchi, con tanti segni che ancora documentano l’antico regime.

Il 31 luglio, alle 14,35 prendo il treno che alle 2,58 del giorno successivo mi farà arrivare a Kabarovsk. Cosa ci farò a quell’ora in stazione?!...Calma, questa è l’ora di Mosca! Son da aggiungere sette ore per avere l’ora locale: quindi arriverò alle 09,58. Un buon orario.
La città è bella, moderna con grattacieli ed ampi viali. Il sole continua ad assistermi e mi consente di rilassarmi sulla spiaggia, il lungofiume dell’Amur; dove però non è il caso di immergersi per l’acqua non proprio trasparente.
Mi collego ad internet ed invio qualche e mail per il mondo a dire che son vivo. Il cellulare, che a Vladivostok mi aveva consentito di inviare sms, qui non funziona. Il gestore della mia linea italiana mi aveva assicurato che, una volta in Russia, sarebbe avvenuto automaticamente il passaggio a Megaphone, il gestore russo che copre tutto il territorio russo, ma non è proprio così e dovranno passare migliaia di chilometri prima che riprenda a funzionare. Ogni operatore russo copre definite fasce del territorio, cosicché pur comprando una scheda di gestore russo, questa servirà solo per un tratto definito ma, via via che ci si sposta, occorrerà acquistarne di nuove.
I russi sono espertissimi in tema di cellulari, in quanto la vastità del territorio li obbliga a rendersi edotti su come risolvere i problemi che ne conseguono.

Riparto da Kabarovsk alle 09,58 del 2 agosto, destinazione Ulan Ude, ove arriverò alle 13,00 del 4 agosto, dopo oltre 50 ore di viaggio, in classe platskard, pagando 1868 rubli, qualcosa come 53 euro. Che differenza rispetto ai prezzi delle ferrovie italiane!
Ulan Ude, città di 400.000 abitanti, sul fiume Uda, è la capitale della Repubblica autonoma dei Buriati. Fondata nel 1666 dai cosacchi, si sviluppò come centro commerciale tra la Russia e la Cina. Oggi è sede di tante industrie, oltre che importante punto di incontro delle ferrovie Transiberiana e Transmongolica.
Di scarso interesse turistico, mi colpisce la gigantesca testa di Lenin nella piazza centrale.
La città non mi piace. Sporca e malandata, non offre motivi per intrattenersi più a lungo. Soggiorno per una notte all’hotel Barguzin.

Il giorno 5 di agosto, alle 13,43 riparto per Irkutsk ove arrivo alle 5,08 del giorno successivo. La stazione è grande, la città anche, ma ormai la meta da raggiungere è il Bajkal e decido di puntare subito verso il lago.
Dopo animate consultazioni con tassisti che offrono i loro servizi, mi faccio accompagnare alla stazione degli autobus, un posto che mi sembra squallido e fuori mano in quelle ore notturne. Già, perché non bisogna confondere l’ora del treno con quella locale!
Su un gradino all’esterno attendo il trascorrere delle ore, sino all’apertura di un bar ove mi riscaldo con una specie di cappuccino. Sul far dell’alba apre la stazione, un misto tra emporio e baracche. Prendo subito posto dinanzi allo sportello, all’inizio di una lunga fila che si forma dietro di me, conversando con chi mi è vicino per chiedere conferma sulle mie scelte. La gente mi rassicura, mi consiglia, mi chiede….

Verso le otto si parte per l’isola di Olkhlon. Il viaggio dura oltre sette ore e dà modo di osservare questo immenso serbatoio d’acqua dolce, con tanta vegetazione sulle sponde e spettacoli bellissimi della natura. Dopo oltre sette ore, l’autobus si ferma: bisogna traghettare per l’isola. C’è un’aria umida e goccioline d’acqua che si formano dappertutto. Al porticciolo ci son varie tende ove vendono l’omul, il gustosissimo pesce affumicato. Scambio chiacchiere con vari turisti russi, diversissimi tra di loro, dai biondi ed alti pietroburghesi ad altri, dai tratti decisamente mongoli.
Il traghetto approda e, sempre in autobus, si va all’interno dell’isola, nella capitale Kuzhir, 16.000 abitanti. E’ una vasta pianura con strade sterrate di terra rossa, attraversate da animali e persone diverse.
In questi giorni qui sono morte due turiste italiane, catapultate fuori da un marsciutku capovoltosi in una curva a causa dell’eccessiva velocità.
Alloggio al campeggio di Nikita, un ex campione russo di ping pong: non tanto ex, visto che mi batte facilmente nella partita che mi concede di giocare sotto gli occhi ammirati di vari turisti.
Il posto è bello, ma i servizi igienici in comune lasciano davvero…imbarazzati, tanto sono sporchi e trascurati. Si dorme in casette di legno indipendenti, ci si lava all’aperto, secondo l’arte di arrangiarsi di ciascuno.
L’isola è collinosa e la discesa al lago molto bella, attraverso verdi prati. Giù ci sono le spiagge con i bagnanti, ma non tanti da togliere quel senso di natura pulita che si respira e rinfranca il corpo e lo spirito.
Si fa facilmente amicizia: incontro statunitensi, tedeschi e un gruppo di giovani italiani. Sono l’unico che affronti questo viaggio da solo, senza l’assistenza di un’agenzia turistica e senza aver tutto prenotato in partenza. Il fatto mi inorgoglisce, ad onta del mio vivere in uno sperduto villaggio dell’Adriatico.

Dall’isola di Olklon si torna sulla terraferma e sosto ancora a Listvianka, una perla sul lago: piccolissimo villaggio, animato solo in estate. Prendo alloggio in una pensioncina, a cinquanta metri dall’acqua.. La temperatura è ben calda, anche se in serata scende notevolmente, tanto da costringermi a rientrare presto, intirizzito da un vento gelido.
Ma di giorno la spiaggia è un incanto, con colori tenui e delicati; l’acqua è fredda, ma faccio ugualmente il bagno ricevendone una gran carica di vitalità.
Al di là della spiaggia c’è la strada, da cui la gente guarda i bagnanti, e sul bordo vari tavolini per pranzare. Si ode un uomo cantare con la chitarra. Lo accompagno sulle note di Ocj ciornie e lui si meraviglia, riconoscendomi per straniero. Gli chiedo di cantare qualcosa di Okudjava.
Cinquanta rubli a canzone - mi dice.
Non importa - rispondo. Non sapevo che cantasse per lavoro.
Il giorno dopo, sono ancora in spiaggia, allo stesso posto, e lui mi riconosce, si avvicina e mi chiede se posso insegnargli la canzone “O sole mio!”
Cinquanta rubli – gli rispondo sornione. Ma poi scoppio a ridere e prendiamo a conversare come vecchi amici, cantando canzoni che conosciamo in comune, mentre la gente ci fa cerchio d’intorno e ci accompagna battendo il tempo secondo ritmi….sovietici! Risalgo nel primo pomeriggio e mi aggiro per il mercatino, con tanti oggetti di artigianato locale. Ma è tutto per turisti. Mi rifornisco di frutta ed omul, anche per il viaggio: è tempo di andare.

ListviankaCerco di tornare ad Irkutsk in autobus e faccio varie ore di attesa all’agenzia viaggi di Listvianka per acquistare il biglietto dai giovani addetti, particolarmente disinformati e scansafatiche, al limite della maleducazione. Alla fine, risolvo tutto con un marshutku, ad un prezzo inferiore e più comodamente.
Il viaggio è piacevole, con il giovane autista che chiacchiera e mi spiega varie cose dei luoghi che attraversiamo. Scendo poco distante dalla stazione di Irkutsk, nelle prime ore del pomeriggio. Purtroppo, dovrò aspettare la notte per prendere il treno che mi porterà a Krasnojarsk.
Trascorro le ore nei pressi della stazione, anche per la difficoltà di sistemare i bagagli. La città è molto caotica, con un gran puzzo di carburanti. Non mi va di andare in giro.
Le ore trascorrono e il piazzale antistante la stazione ferroviaria cambia aspetto: gente di passaggio, che attraversa spedita la piazza di giorno per proprie faccende, commercianti di piccoli chioschi che vendono di tutto, estraendo la merce non so da dove, viaggiatori in attesa di treni. Siedono a gruppi, anche per terra; incrociano le gambe ed aprono fazzolettoni e borsoni, anticipando riti agapici che troveranno poi la massima espressione sul treno. Ma imbrunisce e la gente dirada; compare qualcuno in cerca di residui dalla spazzatura, qualcun altro senza fissa dimora adocchia qualche sedile, agognando di trascorrervi qualche ora, se non proprio la notte, altre figure equivoche. E’ bene andare all’interno, nelle sale d’aspetto, ove c’è più sicurezza: tanta che, nelle fredde ore notturne, due rudi poliziotti si portano via un ubriaco che vanamente urla per il dolore alle braccia, per il modo in cui viene trascinato via.
Si parte alle 21,04 del 9 agosto per giungere a Krasnojarsk alle 15,13 del giorno successivo.
Alla stazione, trovo ad aspettarmi Fernando Bustelli, un napoletano che vive in questa città da circa dieci anni, felicemente sposato con una russa del posto, con due figli. Fa l’intermediario tra ditte italiane di pavimenti e ceramica e alcune imprese russe. Ma poi fa anche la guida turistica ed ha messo su un’associazione culturale italiana chiamata Sibita, con un bel sito internet: www.siberia-italia.narod.ru che ho individuato nelle mie ricerche in internet per l’organizzazione del viaggio. Sta anche lavorando alla scrittura di un libro sulla Siberia; me ne ha fatto leggere alcune pagine. Non male, ma occorre che sia dia da fare per terminarlo!....
Ad onta della sua ormai decennale vita in Russia, Fernando conserva i tratti caratteristici del napoletano verace: bruno e riccioluto, sorriso solare e comunicativo, carattere tranquillo. Ci siamo già scritti alcune e.mail prima che iniziassi il mio viaggio ed ora lo contatto telefonicamente.
Lui si fa trovare in stazione con Vadim: finalmente qualcuno che mi può aiutare e con cui potermi rilassare!
Gli spiego la mia difficoltà ad acquistare i biglietti in stazione a causa dei modi bruschi delle addette, delle mille regole che non capisco, dell’esiguità dei biglietti a disposizione, della lingua…Fernando mi dice che non c’è nulla di particolare: è tutto “normalno” e si risolverà. Si rivolge ad una cassiera e, con avvolgente manovra di frasi e sorrisi, pur nel breve spazio di una domanda, chiede all’addetta di acquistare un biglietto per Tomsk. La tipa gli lancia un’occhiata e implacabile risponde che non ce n’è disponibili.
Ma Fernando non è tipo da perdersi d’animo e, dopo aver parlottato con Vadim, torna all’attacco e richiede il biglietto per Tomsk, questa volta però non da Krasnojarsk, ma da Acinsk, una piccola città a quattro ore di autobus.
Seguo il tutto smarrito, non comprendendo il senso della variazione.
Questa volta la cassiera diventa inaspettatamente disponibile. Fornisce il biglietto. Mi sembra un sogno.
A tal punto cerco di sfruttare a fondo la presenza di Fernando e la bontà della babuska e acquisto tutti gli altri biglietti necessari per arrivare sino a Mosca. L’operazione riesce magicamente, senza alcun intoppo ed io mi sento alleggerito davvero di un grande problema.
Vadim scatta delle foto mentre noi siamo impegnati nell’acquisto. Poi, sollevati, si inizia a chiacchierare, si va alla macchina, mi accompagnano al Krasnojarsk, un lussuoso hotel a tre stelle, a 2.000 rubli per notte..
Krasnojarsk, con quasi un milione di abitanti, è una grande città siberiana, sulle rive del fiume Enisej. È centro industriale ed importante stazione della ferrovia Transiberiana, dotata anche di un aeroporto internazionale.
Inizio a girarla, percorrendo le lunghe vie Lenina, Marksa, Mira…
La città è davvero elegante, con tante piazze, fontane, viali, un bellissimo lungofiume, animato da chioschi ove vendono spiedini di carne, pesce affumicato, birra. Vi è una spiccata presenza giovanile, di giovani che in nulla riconosceresti diversi da quelli di Roma o Berlino.
Con Fernando e Vadim si va in macchina a visitare la diga della stazione idroelettrica, a 35 km. dal centro che produce molta energia elettrica a basso prezzo. A fronte della ciclopica opera e della pioggerella che minuta ma insistente ci penetra nelle ossa, ci sentiamo piccoli e infreddoliti. Ci rimettiamo in macchina e sulla via del ritorno sostiamo in un bel ristorante tra gli alberi, ove gustiamo un’abbondantissima cena a base di carne, degna anche di foto!
TomskMa a Krasnojarsk c’è ancora la grande riserva naturale nazionale Stolby (in russo "pali"), un'area di 470 km² con rocce granitiche alte fino a 100 metri, molte delle quali presentano forme straordinarie. Stolby è un sito importante per le scalate e molti scalatori locali volutamente non usano le corde.
Salgo sino alla collina Karaulnaja, ove a mezzogiorno in punto sobbalzo per lo sparo di un gran colpo di cannone, mentre intorno c’è tanta gente, invitati di matrimoni, con gli sposi che si esibiscono per le foto più strane, con tante bottiglie di champagne e di birra!
Krasnojarsk, fredda e piovosa, dà un saggio delle sue temperature invernali che toccano i cinquanta gradi sotto zero!

Nel primo pomeriggio, con Vadim, ci dirigiamo alla stazione degli autobus, da cui parto diretto ad Acinsk, ove arrivo che è ancora giorno.
La città è piccolina. Lascio la valigia al deposito bagagli e faccio un giro, tra strade sterrate e anonimi casermoni. Ma appena più in là c’è la campagna, con il suo verde, prati, mirtilli. Mi fermo a comprare un gelato ad un chiosco e chiacchiero con l’esercente, una donna di mezza età incuriosita dal mio aspetto straniero. Io racconto di me e lei di sé, di come c’è poco smercio e lei dopo un’intera giornata chiusa nel chiosco prende appena il 16% del ricavato e, tornata a casa, trova uno squallore profondo: il marito beve, il figlio è sbandato…

A mezzanotte del 13 agosto prendo il treno per Tomsk, ove arriverò alle 11,35, dopo l’episodio, già narrato, dello scambio del treno.
Tomsk è città di mezzo milione di abitanti, sede di università. Il suo aspetto è ridente, pulito, con bei negozi e viali per passeggiare. Per una sosta sulla Transiberiana, è senza alcun dubbio da preferire alla vicina Novosibirsk, più grande ma più caotica, con i tipici palazzi in stile sovietico.
Qui invece si sono conservati molti monumenti dell'architettura in legno strutturale, un tipo di legno usato alla fine del XIX secolo per la costruzione di edifici, tanto che nel 1970 alla città è stato attribuito lo status di città storica. Oggi il loro numero si riduce sempre più, ma sono in atto programmi di recupero di queste costruzioni molto belle da vedere.
La ulitsa Lenina offre la possibilità di una passeggiata in spazi vasti, con tante vetrine. Un vento freddo siberiano, pur con il cielo a tratti sereno, mi obbliga all’acquisto di un maglione.
E proseguo per Ekaterinburg, la sovietica Sverdlovsk, come viene ancora chiamata negli orari ferroviari. Partenza alle 7,49 del 15 agosto ed arrivo alle 12,27 del giorno successivo.
Ekaterinburg, con 1.300.000 abitanti, è il principale centro industriale e culturale della regione degli Urali. Tra il 1924 e il 1991, la città veniva chiamata Sverdlovsk in onore del leader bolscevico Jakov Michajlovic Sverdlov.
Ha importanti industrie meccaniche e chimiche e produce la maggior parte degli armamenti dell'esercito russo. Tra le industrie leggere, è ben sviluppata quella del taglio delle gemme.
Nulla in particolare da raccontare, al di là della piacevole sosta, della visita della città, degli incontri e conversazioni con persone del posto, sempre disponibili nel privato ad offrire ogni aiuto e assistenza.

Niznj NovgorodLa prossima tappa sarà Niznj Novgorod, che dal 1932 al 1991 ha avuto il nome di Gor'ki.
Posta alla confluenza del fiume Oka nel Volga, con 1.400.000 abitanti, la città è sede di una delle più antiche università della Russia. Ha un aeroporto e molti monumenti civili e religiosi che, insieme all'antica fortezza del Cremlino, la rendono importante meta turistica.
Un bacino artificiale, ottenuto dallo sbarramento del medio corso del Volga e dell’Oka con una diga lunga quasi 13 km., favorisce l'agricoltura e l'allevamento. La provincia è comunque ricca di industrie che la rendono una delle aree maggiormente sviluppate della Russia dal punto di vista industriale.
Notevoli sono le chiese della Trasfigurazione e degli Arcangeli, risalenti al XIII secolo, mentre quelle dell'Annunciazione e della Natività sono di epoca barocca.
Nella visita di una di queste ho occasione di assistere al battesimo con rito ortodosso di cinque persone, due neonati e tre adulti. La cerimonia è lunga e piena di enfasi, secondo il rituale della chiesa russa, in cui i sacerdoti, dalle lunghe barbe, hanno un aspetto ieratico che infonde rispetto e timore.
L’hotel Niznij Novgorod è al culmine di una lunga scala che si inerpica su uno scosceso colle. Fatico ad arrivare su a piedi, ma la vista che si gode dall’alto ripaga dell’affanno: è bellissimo osservare la città, divisa in due parti dal fiume, con le cupole dorate delle chiese, le ampie strade, un brulichio di vita.
A Niznij Novgorod incontro una coppia di torinesi con cui mi intrattengo piacevolmente. Meno piacevole è la vista di un uomo investito da un’auto, disteso su una strada senza che nessuno presti soccorso. E’ davvero pericoloso il modo di guidare dei russi. C’è da prestare grande attenzione ad ogni attraversamento di strada, visto anche che sono così larghe che c’è appena il tempo di attraversare in fretta da un marciapiede all’altro prima che scatti il semaforo rosso.

Siamo all’ultima tappa, al rientro a Mosca, al termine di oltre 10.000 chilometri!
Prendo il treno alle 23,55 del 19 agosto per arrivare nella capitale alle 8,05 del giorno successivo. Finalmente orario del treno ed ora locale coincidono!
Scendo in perfetto orario alla stazione Yaroslav voksal: il lungo viaggio è compiuto.
Trascorro un’altra settimana, sino al 27, visitando altre città intorno a Mosca, sino a Novgorod, dall’indefinibile fascino di antica città di provincia.
Ma è altra storia rispetto al viaggio in Transiberiana.


Il viaggio, la corsa, la scrittura

Al rientro mi accorgo che, pur essendo essenziale nei bagagli, non ho utilizzato neanche la metà della roba messa in valigia Nel timore di rimanere senza biancheria pulita, ho sempre fatto il bucato ad ogni sosta. Fortunatamente non ho utilizzato neppure medicinali o altra roba di emergenza.
Il viaggio non ha riservato brutte sorprese, nessun incontro spiacevole, ad onta degli stessi russi che più volte mi hanno chiesto se non avessi timore a viaggiare da solo.
Certo, sono stato sempre vigile ed accorto, non vestendo in maniera eccentrica né facendo ostentazione di nulla. Si è rivelata vincente l’idea che sia sempre opportuno fare amicizia con chi mi stava intorno. Quindi ho sempre rivolto la parola, cercato contatti, parlato di me e chiesto di loro. E sempre, chi mi viaggiava accanto, mi ha preso per così dire sotto protezione, dandomi indicazioni e risolvendomi piccoli problemi.
In tutto ho speso circa 2.500 euro, incluso il costo del viaggio in aereo, in andata Bari-Milano-Mosca-Vladivostok; e al ritorno Mosca-Roma-Bari (875 euro). Gli oltre 10.000 chilometri di treno mi sono costati solo 310 euro. Il resto se n’è andato per vitto, alloggio ed anche un bel po’ di regali che ho portato a casa, ivi compresi libri per l’apprendimento del russo e un bel po’ di cd musicali e di letture poetiche, da Puskin a Cechov, Bulgakov, Pasternak, Cvetaeva, Achmadulina. La Russia non è solo Mosca o San Pietroburgo, le meno russe delle città russe. Ho dovuto andare nelle province, nei villaggi, nelle campagne di questo sterminato paese, di questo continente, per ritrovare una parvenza di quella Russia dell’anima che solo in questo viaggio ha coinciso un po’ con il paese reale.
Ho camminato tanto, da stancarmi e buttarmi esausto sul letto ogni volta che, dopo una giornata passata a girare città sconosciute, calavano le tenebre.
Non sarei riuscito a fare questo viaggio se nelle gambe non avessi avuto l’esperienza, la forza e la volontà del podista; come non l’avrei fatto senza le letture, che mi hanno fatto scoprire la magia della Russia e la scrittura, con il duro percorso dalla pagina bianca alla narrazione compiuta.
Il viaggio sulla Transiberiana è stato come il paradigma di ogni cosa della vita in cui, per ottenere un risultato, è necessario impegnarsi a fondo.
Ma il risultato ripaga.

Margherita di Savoia, 14 ottobre 2007.

di Ruggero Mascolo.