Pietro A. Zveteremich

Aggiornata il 29 Maggio 2009  •  1 Commenti

Zivago tradito

Storia di una traduzione saccheggiata


Il nostro recente pezzo sulle traduzioni manomesse del Dottor Živago ha avuto come conseguenza quella di vedere arrivare in “redazione” tutta una serie di documenti integrali ed inediti che confermano, approfondiscono e arricchiscono di particolari quanto da noi scritto. Si tratta del carteggio tra Zveteremich e Luciano De Maria, già responsabile della collana de “i Meridiani” per i tipi Mondatori. Ne iniziamo la pubblicazione.
Per meglio orientarsi nello scorrere spontaneo ed emotivo del discorso, tipico della lettera, facciamo una breve cronologia degli eventi:


Cronologia



23 novembre 1957: esce la prima traduzione mondiale del D.Z. a cura di Pietro Zveteremich. Questi aveva concordato con Feltrinelli che il suo testo fosse rivisto dall’italianista Niccolò Gallo; tuttavia le richieste dello slavista di rivedere le bozze prima della messa in stampa rimangano disattese. Zveteremich come è sua abitudine non rilegge il testo già edito.

1961: Feltrinelli affida ad insaputa dello slavista una nuova edizione rivista del romanzo a «due persone di cui l’una (Mario Socrate) non sapeva il russo e l’altra (Maria Olsoufieva) non sapeva l’italiano». Zveteremich riesce ad intervenire parzialmente sulla revisione operata, ottenendo di correggere le bozze, ma solo all’ultimo momento per «la solita fretta dell’editore». Risultato: un testo che risulta del tutto insoddisfacente per il traduttore.

1991-92: Mondadori acquisisce i diritti per un’edizione del DZ all’interno di un’opera dedicata alla prosa di Pasternak per la collana “i Meridiani”. La cura del testo viene affidata a Zveteremich che accetta a condizione che egli sia posto in grado di attuare «una rilettura totale – riga per riga, parola per parola con il testo russo a fronte e l’occhio alle tre versioni esistenti». Lo slavista non a caso parla di tre versioni: quelle edite del ‘57 e del ‘62 e quella consegnata a Feltrinelli nell’agosto dello stesso 1957: è su quest’ultima che Zveteremich punta per la sua revisione perché soltanto da poco si è accorto che la versione edita del ’57 non ha subito semplici ritocchi stilistici ma «pesanti cambiamenti… che giungono ad alterare il pensiero di Pasternak… e travisano immagini, linguaggio e concetti della vita russa». Nel marzo del ’92 Zveteremich giunge a termine della sua fatica e lo annuncia a Luciano De Maria, responsabile della collana: «ho finalmente terminato l’improba impresa della totale revisione… Adesso abbiamo un testo filologicamente accertato… Abbiamo la traduzione più sicura del DZ, credo anche la più bella come resa italiana dall’originale russo». La richiesta dello slavista che venga apposta la dicitura “Nuova traduzione completamente riveduta da Pietro A. Zveteremich” viene accettata senza riserve.

1994: viene dato alle stampe il volume de “i Meridiani” Pasternak – opere narrative. Il testo del Dottor Živago non è tuttavia quello consegnato, come definitivo e completo di un corposo apparato di note, prima della morte da Zveteremich: la traduzione ha subito un rimaneggiamento redazionale. Inizia la querelle tra gli eredi Zveteremich e Mondadori che promette di pubblicare una seconda edizione del volume con gli opportuni accorgimenti almeno nel controfrontespizio dove non c’è traccia della dicitura concordata nel 1992 con De Maria. La promessa resta ad oggi disattesa e il volume è addirittura fuori catalogo.

2007: ultima beffa. Feltrinelli pubblica un’edizione del romanzo a tiratura limitata con una nuova traduzione a cura di Serena Prina, il cui nome troviamo anche nell’edizione de i Meridiani del 1994 come curatrice dell’apparato delle note al testo del Dottor Živago.

Le lettere inedite



La lettera che segue fu scritta da Zveteremich dopo un’estate particolarmente travagliata a seguito della richiesta improvvisa, generica e urgente di rivedere il Dottor Živago. Quanto chiestogli in una lettera del 20 maggio 1991 da Luciano De Maria, responsabile de “i Meridiani”, non lo convince e tuttavia si mette a lavoro. Riprende copia dell’originale della traduzione inviata a Feltrinelli ancora nel 1957, ma un incendio della macchina lo priva della versione italiana che giudica migliore come base di partenza. Rendendosi conto comunque che il lavoro fin lì fatto non lo soddisfaceva, perché forzatamente svolto non in maniera sistematica e analitica, propone a De Maria un excursus sulle edizioni precedenti per poter essere meglio in grado di prendere una decisione sul da farsi.
Segue a ruota la risposta di pieno sostegno del De Maria che «trova necessario che compaia nel Meridiano Pasternak una traduzione del DZ rivista oggi dal suo primo storico traduttore». Zveteremich porta a termine il suo lavoro e nella lettera del 2 marzo 1992 racconta la sua fatica e chiede che questa gli venga riconosciuta nella dicitura del controfrontespizio. De Maria risponde il 18 marzo, confermando senza esitazioni le richieste dello slavista.


***

Settembre, ‘91
Caro De Maria,
[…]

Veniamo allora alle premesse (un po’ di cronistoria)
Il 20.05.91 una lettera di L. De Maria mi dice: “attendo da te il testo rivisto e definitivo” del DZ per la metà di settembre e non oltre … Per questa revisione ti corrisponderemo un compenso di lire tre milioni netti. Buon lavoro e molti cordiali saluti”. Fui stupito e perplesso di fronte al carattere vago e contraddittorio della proposta, tanto più conoscendo De Maria da tempo come un professionista dell’attività editoriale perciò a perfetta conoscenza dei tempi e dei costi delle revisioni serie. La collaborazione, altamente specialistica, veniva inoltre richiesta durante un periodo in cui soltanto gli impiegati si sentono in dovere di essere a disposizione comunque della loro azienda. Soprassedendo su ciò, benché dichiarassi subito al De Maria come il corrispettivo indicato fosse sproporzionato in negativo rispetto alla richiesta fattami, mi dissi disponibile a occuparmi della cosa.
E’ ovvio il perché: il sig. Feltrinelli poté pubblicare in prima mondiale il DZ e assicurarsene i diritti mondiali soltanto grazie a me in quanto il famoso ‘messo’ D’Angelo lo sollecitò a Pasternak dopo segnalazione di V. Riva (allora redattore della Feltrinelli) insieme al sottoscritto come consulente (allora) della casa ed. per le cose russe. Già nella tarda primavera del ’56, convocato a Milano dal Feltrinelli per leggere i malloppi dattiloscritti giunti da Mosca, il mio giudizio dopo 4 ore fu entusiasticamente positivo, mentre non solo il mondo intellettuale comunista dell’epoca (il PCI, il povero Diemoz e gli altri pochi edotti del fatto erano ferocemente contro), ma anche l’illustre prof. Ripellino che, poco dopo, poté leggere il libro in Polonia, sconsigliò Einaudi da pubblicarlo con una delle classiche formule dell’italica ipocrisia (“non è la cosa migliore di Pasternak”). Ero comunista iscritto a quell’epoca, ma nessuno mi poteva impedire di dire che “non pubblicare un libro simile era un delitto contro la cultura”. Questa è qui una digressione forse ingombrante, l’ho fatta in modo funzionale all’argomento: affinché sia chiaro quanto quel libro sia dentro di me in quanto mi affascinò fin dalla prima rapida lettura (e, devo dire, mi fece cambiare il corso dei pensieri in letteratura come in politica dopo anni di lezioni di feroce stupidità “sovietica”). Ne tradussi l’inizio nel ’56 e poi (dopo l’interruzione imposta dal sig. Feltrinelli, che ancora credeva, nonostante ogni evidenza, nella buona volontà dei soviet e del PCI) con gran fretta dal marzo all’agosto ’57.
E’ dunque a quel libro ero ormai e con gioia unito, e non soltanto per questa vicenda (che in ogni caso non fu secondaria per la mia uscita non molto dopo dal PCI), ma per quel suo messaggio (mi si lasci usare questa parola ormai screditata) di poesia verità e dignità, che mi aveva sconvolto dopo tanti anni di immersione nella fogna letteraria sovietica e nel provincialismo italiano (dei contemporanei, leggevo H. Miller in quegli anni: che vita, che libertà, comunque; e Cajumi, per dire due nomi). Perché tutte queste divagazioni personali? Ma per fare capire che di fronte all’iniziativa di una ristampa Mondatori del DZ, benché molto turbato dall’impostazione di una simile proposta di collaborazione, dire di no mi era impossibile. Perché io, non solo autore ma promotore della prima edizione mondiale del DZ dovrei rinunciare ad apporre la mia firma a una nuova edizione d’oggi, 1991-92! Sarebbe una rinuncia; peggio, un affronto.
Eppure, mi si mette in queste condizioni. Ti diamo 3 milioni e ci dai il testo definitivo: cosa vuol dire? Volete pagare il mio assenso per qualsiasi versione pubblichiate pur di non avere noie? Potete pensare che accetti, ma in tal caso firmo uno psuedo testo “definitivo” (come suona la lettera editoriale) e tradisco il testo di Pasternak e me stesso? No, non sono d’accordo. Per un minimo rispetto di me stesso (che ne ho poco e poco me ne cale), ma per un massimo rispetto di Pasternak (che nella rilettura di questi mesi ritrovo e riaffermo come uno dei più alti scrittori della nostra epoca, russo nella più nobile e rigeneratrice tradizione europea e perciò universale), questo accomodamento è peggio che meschino: miserabile.

Già circa tre anni fa (se ricordo bene, non ho qui le pezze d’appoggio) pensavate a un’edizione delle opere di Pasternak per i classici Mondadori. Fummo in contatto per un volume dei racconti di Pasternak, in gran parte già da me tradotti per la Feltrinelli e che la stessa non voleva cedervi. Faceste una nuova traduzione che voi stessi dichiaraste un plagio della mia, arrangiando un testo raffazzonato che non ho mai avuto voglia di controllare. Ma forse lo farò. Ricordo ciò soltanto per dire una precisa cosa: se già allora avevate l’intenzione, già il progetto –come mi si disse – di pubblicare l’opera completa di Pasternak nei classici, perché non vi siete fatti parte diligente? Perché non avete fatto controllare da me o da un russista più o meno esperto la validità della traduzione del DZ in commercio in ed. Feltrinelli per vedere almeno a che cosa andavate incontro, acquistandone i diritti? Io non capisco: nessun commerciante compera una merce, che sa di dover rivendere, senza conoscerla e controllare. Se la ditta è importante, come lo è la Mondatori, la fa verificare dai suoi periti.
Lo stesso Mondatori sapeva che questo testo era insoddisfacente se, dopo averlo acquistato, mi chiede di “rileggerlo” – “rivederlo” (nelle due lettere a me inviate si usano queste due espressioni, che significano cose diverse) per dare un testo “definitivo”. Ma cosa si vuole veramente? Rimando a quanto scritto sopra.
In effetti, il suddetto testo, che ben conosco per aver avuto quasi trent’anni fa una controversia (che vinsi) con la Feltrinelli per l’arbitraria revisione, affidata, a mia insaputa, a due persone di cui l’una (M. Socrate) non sapeva il russo e l’altra (M. Olsoufieva) non sapeva l’italiano, altera e tradisce il dettato pasternakiano e, per di più, è piena di lacune, errori e imprecisioni (accludo fc delle prime pagine a riprova, se bastano). Ottenni allora di rivederlo ancora io, ma naturalmente per la solita fretta dell’editore (che mi mandò all’ultimo momento le bozze) potei in quel caso fare un intervento parziale. Come detto in testa a questa lettera, ora ho dovuto perciò subito escludere la possibilità di prendere tale testo come base per un “testo definitivo”.
Esisteva l’edizione precedente della mia originaria traduzione. Su questa ho poi ricominciato la rilettura, sicuro che fosse più aderente all’originale russo e, oso dire, in un italiano letterario esente dai luoghi comuni e dalle cadute nel linguaggio giornalistico e dei romanzi di costume.
Subito mi accorsi con orrore che il primo revisore Niccolò Gallo (concordato con la Feltrinelli, perché considerato – e allora da me creduto – sommo giudice della letteratura italiana contemporanea, critico finissimo e gran conoscitore della lingua italiana) in realtà aveva operato sulla mia traduzione pesanti cambiamenti che tradivano di continuo e grottescamente deformavano lo stile espressivo dell’originale, spesso giungendo perfino ad alterare il pensiero di Pasternak nelle sue frequenti digressioni filosofiche, e addirittura travisavano immagini, linguaggio e concetti della vita russa, evidentemente estranei e incomprensibili per un letterato educato nella toscanità, di esso prigioniero e assolutamente ignaro della cultura e della lingua russa.
(Gli editori credono che stimati letterati possano correggere opere straniere tradotte, di cui costoro non conoscono la lingua originale né il mondo, la cultura che le hanno espresse: credono che siano come una macchina, un orologio o che si vuole, che si possano copiare o rifare. Già, il concetto di struttura; ma c’è struttura e struttura; e la struttura di un’opera letteraria non è una meccanica ricalcabile, ma comprende la concezione stessa del progetto e componenti labili e di comportamento variabile come un organismo umano o comunque vivente di vita autonoma, non pezzi fissi che possano essere rifabbricati secondo uno schema: non esiste scema!).
Mi riesce ancora oggi difficile pensare che sia stato soltanto N. Gallo a provocare quei guasti, forse altri sono intervenuti in Redazione. Dopo la consegna nell’agosto 57 io non seppi più nulla della vicenda della mia traduzione, non mi si mandarono neppure le bozze, nonostante le mie richieste che conservo tutte documentate dalla corrispondenza.
Le prime 10-12 pp. del testo, che accludo con le mie osservazioni di quest’estate, dovrebbero essere sufficienti a mostrarvi (non dico dimostrarvi) quanto qui ho detto. Ci sono poi le copie in carta carbone della mia traduzione originale del ’56 consegnate alla Feltrinelli (e qui come sopra detto, accluse in fc oggi corretta) che rivelano la differenza tra ciò che era stato trasmesso all’editore e ciò che fui poi stampato. Ma di questo mio dattiloscritto originale (la cui copia definitiva nel ’57 andò alla Feltrinelli), io non ho niente.
Avendo soltanto quelle poche pagine della “brutta” di allora (pur non disperando ancora adesso di ritrovare nel mio archivia la copiacarbone del dattiloscritto originale) al momento, data la fretta, intendevo proseguire il lavoro sulla prima edizione del ’57 quale unico testo base accettabile benché, come detto più sopra, secondo me orripilante sotto vari aspetti e da rivedere fondamentalmente.
Portavo il libro nella mia casa al mare nel luglio, ma l’incendio dell’auto in cui viaggiavo e lo trasportavo (come dimostrato dall’acclusa fc del trasporto ACI per la demolizione) mi ha impedito di continuare il lavoro: tutti erano in ferie; soltanto dopo ferragosto ho potuto contattare telefonicamente De Maria per avere fotocopia di quell’edizione di cui io possedevo quell’unico esemplare andato bruciato.
Ma, come spiego più sopra, quel testo, pubblicato nel ’57 è anch’esso – sebbene meno dell’edizione successiva al ’62 ancora in commercio – una deformazione arbitraria dell’originale russo e della mia stessa traduzione. Mi si può dire: ma non lo sapevo? Confesso (e non la considero una colpa): no, non lo sapevo. Non rileggo mai ciò che è ormai andato in circolazione: mi annoia e mi nausea. Nel caso dato, inoltre, considerati i contrasti d’allora col sig. Feltrinelli, col quale dovetti passare a trattare soltanto per il tramite di avvocati, sulla mia traduzione e il suo destino misi una pietra. Mi interessano le cose nuove, non i rimasticamenti. Forse mi accorsi che c’era di che non essere d’accordo, tanto che presi con indifferenza perfino la stroncatura della traduzione di un P. Citati che, non conoscendo una parola di russo e non avendo potuto leggere nessuna delle traduzioni in altre lingue occidentali (tra l’altro, davvero raccomandabili!) allora ancora non uscite, osava tacciare il traduttore di “mani rozze”. Vedendo la fraseologia da Carolina Invernizio introdotta da Gallo e altri nella mia traduzione, pensai che davvero quel retore postdannunziano potesse avere anche le sue ragioni. Rimossi quel testo e, dopo 34 (trentaquattro) anni oggi avrei dovuto ricordarlo nei dettagli?
Oggi in ogni caso la situazione è questa: che abbiamo tre testi in italiano, tutti, sebbene in modo diverso, da rivedere: 1) la mia prima traduzione, che è comunque la più attendibile e sulla quale si può più facilmente lavorare; ma purtroppo, non so al momento se ne abbia io copia (devo cercarla in casse di documenti, cosa che potrei fare, a ma a che pro’, data la vostra fretta? 2) il testo stampato nel ’57 con le deformazioni sostanziali che ho cercato d’illustrare e che si possono constatare dalle circa 200 pp. Corrette che vi mando; 3) il testo in circolazione, stampato dopo il ’62, che alle deformazioni del primo testo ne aggiunge molte di proprie, devastando completamente lo stile dell’Autore sebbene ripristini varie fedeltà letterali al testo russo che il (o “i”) revisore della mia traduzione aveva presuntuosamente e ignorantemente mutilato e deformato.
Io non ho davvero idea di che cosa possiate fare, dato quanto si dice nelle lettere di L. De Maria e, in particolare, in quella del 2-7-91. Ovvero: a) testo definitivo (?) consegnato da me “dopo la metà di settembre”; b) rilettura di Strada “per eventuali osservazioni da discutere con te (benissimo, ne sono contentissimo, ma Strada è una persona seria e la sua rilettura non potrà essere formale e dunque gli richiederà molto tempo, perché suppongo che vorrà controllare sul testo russo; e poi 1) ogni testo è opinabile; 2) anche se un testo fosse irreprensibile, per appurare ciò occorre leggere tutto, riga per riga.

Tu, De Maria, simpaticamente mi dici “conto sul tuo amichevole senso di collaborazione”. Certo, e credo, con il lavoro che ho fatto e con le spiegazioni di questa lettera, d’avertelo dimostrato. Ma l’impossibile e l’impossibile.

Ora, secondo me, le alternative sono due: 1) o si procede a una rilettura totale – riga per riga, parola per parola, con il testo russo a fronte e l’occhio alle tre versioni esistenti – ( e questa rilettura potete farla fare a chi volete, salvo che, naturalmente, io potrò sempre intervenire a tutelare la paternità della mia traduzione, come nel caso di una traduzione ex-novo, dove l’esperienza ci insegna che il nuovo traduttore tende a ricalcare le orme del vecchio); e, per questa rilettura totale, poi seguita da una supervisione di Strada, io sono la persona più adatta non soltanto (e voglio anche dire non tanto) perché sono io (ossia per la mia pluridecennale [purtroppo!] esperienza di letteratura, cultura, lingua russa, nonché traduzioni), ma perché, nel caso specifico, ho una dimestichezza col testo da 35 anni; 2) pubblicate il testo acquistato (nella prima o nella seconda edizione, con le mie correzioni o no, ma farete una cosa raffazzonata che non credo degna dei “Meridiani” a meno che non ci si consoli con l’esempio della famosa Pleyade di Gallimard che invece è uno scandalo (almeno per quanto ne so da un’esperienza personale: il caso de “L’idiota” di Dostoevskij, che anni fa, Sansoni mi chiese di revisionare tenendo presente, appunto, la “classica” traduzione pleyadiana: ebbene, che cos’era? Travisamento continuo dell’originale di Dostoevskij, intere pagine riassunte!)

Nel primo caso di cui sopra sono disposto volentieri a collaborare, benché la cosa mi pesi dato che avevo altri progetti, e lo farei soltanto perché si tratta di un libro di cui in questa lunga lettera mi pare d’avere spiegato abbastanza quanto mi importi. E dunque: revisione sul testo della mia prima traduzione, firmata esclusivamente da me, ma con impegno di discussione con Strada; almeno tre mesi di tempo e un compenso che, sebbene ridotto rispetto alle tariffe d’oggi che sono di almeno 30.000£ a cartella, costituisca un minimo adeguato risarcimento di un lavoro d’altro artigianato e non i ridicoli tre milioni per mille cartelle, compenso di una dattilografa. Nel secondo caso, come ho detto, pubblicate uno dei 2 testi ma senza altri mutamenti non concordati con me, pagatemi i tre milioni per il lavoro che ho fatto (e che li esorbita) oppure non pagateli affatto (non importa) e cacciatevi nell’avventura con il disdoro e tutte le possibili conseguenze.
Scusa se sono brusco, e sono stato lungo, ma è meglio essere chiari, dato l’argomento. Io, in ogni caso, mi sono fatto un gran sangue marcio e la cosa mi ha creato preoccupazione durante tutta l’estate. Non credo ti dispiaccia se mando copia di questa lettera a Strada: così può meglio rendersi conto anche lui del problema, giacché di un serio problema mi pare si tratti. In attesa con i più amichevoli saluti benché tu mi abbia davvero inguaiato.

Pietro A. Zveteremich

***

Milano, 30 settembre 1991

Caro Zveteremich,

ricevo la tua lunga lettera del 20 settembre alla quale rispondo subito.

Sono veramente dispiaciutissimo di averti amareggiato l’estate. Appartieni al numero delle persone alle quali non vorrei procurare assolutamente fastidi o preoccupazioni. C’è stato un malinteso tra noi che intendo subito amichevolmente chiarire. Ci conosciamo da molti anni e, da parte mia almeno, ho sempre nutrito nei tuoi riguardi una grande stima e una grande simpatia. Per questo ti parlerò in modo franco e diretto.

Quando ti ho scritto, il 20.5.91, proponendoti di rivedere il testo del DZ, per un compenso di lire 3 milioni, ricorderai che in precedenza c’era stata una telefonata nella quale ti avevo fatto la proposta del suddetto compenso appunto di lire 3 milioni. Sono certo che tale somma è inadeguata ora che conosco l’entità del lavoro che dovrai svolgere. Ma allora, non essendo io uno specialista, non potevo rendermi conto delle difficoltà della revisione e del tempo necessaria per compierla. […]

Ma inutile, mi pare, parlare di queste cose passate. Vediamo ora come possiamo risolvere il problema amichevolmente e in modo che non ti procuri dispiaceri o fastidi.

Naturalmente sono per la prima soluzione che tu proponi, e cioè per la rilettura totale da parte tua del DZ. Ora che conosco le difficoltà intrinseche di questa rilettura posso proporti un compenso spero adeguato. Ti proporrei cioè il compenso che do a Strada per la revisione dei testi di Pasternak non tradotti da te […]. Sappimi dire subito cosa ne pensi.

Se tu troverai, come sarebbe auspicabile, la tua prima traduzione, potrai procedere su quella, altrimenti lavorerai sul testo del ’57, che comunque io ti restituisco.

E’ inutile dire che trovo necessario che compaia nel Meridiano Pasternak una traduzione del DZ rivista oggi dal suo primo storico traduttore. E’ una cosa alla quale tengo moltissimo e alla quale anche Strada tiene in modo particolare. A revisione ultimata ti sentirai con Strada per discutere di eventuali punti dubbi e magari non ce ne saranno.

Caro Zveteremich, ti ho parlato molto francamente e amichevolmente e vorrei che giungessimo molto presto a una definizione di questo lavoro, cioè la tua rilettura del DZ. […]

Rispondimi subito, ti prego. Chiariamo immediatamente tutti i problemi in questione.

Cari saluti

Tuo
Luciano De Maria

***

Roma, 2 marzo 1992

Caro De Maria,

ho finalmente terminato l’altro giorno l’improba impresa della totale revisione del Dotto Zivago. La revisione vera e propria era conclusa, come speravo e avevamo pattuito, già prima della fine di gennaio. Ma avevo dodici cartelle di appunti di casi dubbi e ciò mi ha tolto più tempo del previsto per risolverli.
Adesso abbiamo un testo filologicamente accertato al meglio. Stilisticamente? Di questa componente, parimenti essenziale, ho tenuto naturalmente gran conto nella rilettura. Ma, certo, nel rileggere le pagine fatte copiare (circa 200) in bella (poiché le fotocopie dell’edizione toglievano chiarezza per le troppe mie correzioni, mi sono concretamente accorto che sulla pagina pulita il ritmo del discorso narrativo esce chiaro ed è controllabile e modificabile (cosa che, dov’era necessario, ho fatto). E allora, che fare? Per un esito eccellente si doveva ricopiare tutto e aspettare un mese: poi rileggerlo serenamente. Ciò non è possibile per le condizioni a cui tu, io o altri siamo costretti. Mi do la zappa sui piedi. Ciò che ho detto è uno scrupolo esagerato. Per il testo che ti consegno puoi essere assolutamente tranquillo. Se poi ci sono questioni di gusto, di diversa concezione della scrittura, ciò è sempre possibile, opinabile e contestabile. Qui tuttavia affermo che abbiamo la traduzione più sicura del DZ, credo anche la più bella come resa italiana dell’originale russo per aderenza di stile e correttezza dell’italiano (anche qui nel dubbio ho risolto coi dizionari dal Tommaseo al Devoto …). E pertanto mi spetta che, nell’edizione indicando l’autore della traduzione, si scriva: Nuova traduzione completamente riveduta da Pietro A. Zveteremich.
Questo giova altresì alla presentazione della vostra nuova edizione. Tieni che questa versione tiene conto di 5 testi: 3 originali russi (ed. Feltrinelli in russo – 1957, rivista “Novy mir” e moscovita 1989) + 2 italiani (Feltrinelli 1957 e Feltrinelli 1961). Ciò - come tu che sei del mestiere ben capisci – ha aumentato non di poco il lavoro per chi ha un po’ di scrupolo.
Che cosa ti devo dire, senza tediarti, che è stato un lavoro massacrante, ab imis; e, se tale, lo sospettavo già nell’estate scorsa, tanto da gettarmi nello sconcerto, ancora più grave si è rivelato. Ma mi ha pure dato soddisfazione: lo confesso. Sono felice d’averlo portato a termine: come un parto. Questo Pasternak m’inseguirà per tutta la vita.[…]

Ti abbraccio, affettuosamente

Pietro Zveteremich

***

Segrate, 18 marzo 1992

Caro Zveteremich,
grazie per la tua lettera del 2 marzo e complimenti per il lavoro fatto!
Lo metterò subito in lavorazione e avviserò Strada che, come sai, è a Mosca.
D’accordo per la dicitura: Nuova traduzione completamente riveduta di Pietro A. Zveteremich
Quanto alle appendici inedite mi servono a ruota: traducile senza ansie, ma falle il più presto che puoi
Quando le avrai tradotte ti farò avere il meritatissimo compenso globale!
A presto, caro Zveteremich, buon lavoro e molti cari saluti

Tuo
Luciano De Maria

***

Ecco invece cosa apparirà nel controfrontespizio del “meridiano” dedicato a Pasternak:
«Traduzione dal russo di Pietro Zveteremich. Edizione riveduta da Mario Socrate, Maria Olsoufieva e – sulla base del testo russo stabilito in B. Pasternak, Sobranie socinenij, Moskva 1990 – da Pietro Zveteremich».
Un vero e proprio pasticcio che confonde il passato col presente e che rasenta il falso. Ma ciò che è più grave è che il testo non è quello inviato da Zveteremich. Qualcuno – come al solito – è intervenuto in qualità di “revisore” dietro le quinte.

© Copyright sulle lettere: Eredi P. Zveteremich

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Gli Anatemi per Živago (Il centenario della nascita di Pasternak) di P. Zveteremich (febbraio, 1990)