Pietro A. Zveteremich

Aggiornata il 29 Maggio 2009  •  1 Commenti

Funzioni dello scrittore nelle repubbliche popolari


Lo scritto di Gramsci suggerisce alcune considerazioni sulla condizione del letterato in questi nostri anni in cui l'acuirsi dell'urto e della lotta fra il vecchio mondo e le energie di quello nuovo che sta sorgendo richiedono con tanta magggiore urgenza al letterato una partecipazione, esigono da lui una coscienza della propria "funzione sociale".
Nel nostro Paese le forze democratiche non sono acora riuscite a realizzare nella struttura della società dei cambiamenti tali per cui necessariamente i poeti e gli scrittori, nella maggior parte, e in genere gli intellettuali, abbiano dovuto procedere ad una revisione totale dei loro rapporti verso la realtà. Si dice questo certo, considerandoli nel loro complesso, per ciò che costituisce la fisionomia di tutta una letteratura, di tutta una cultura, senza minimamente voler sottovalutare la ricerca viva che alcuni di essi o alcuni gruppi di essi attualmente conducono.
Il discorso comunque non era questo. Si tratta piuttosto di vedere come invece si vada delineando la funzione del letterato in quei paesi dove le forze democratiche sono pervenute a riforme di struttura, nei paesi di democrazia popolare, dove la società si trova in una tappa di transizione verso il socialismo. La Jugoslavia, per esempio, o la Bulgaria o un'altra nazione.
C'è innanzitutto un'osservazione da fare: anche prima di questa guerra, con gli enormi mutamenti ad essa seguiti, in quei paesi il letterato non fu mai lo stesso che da noi, non era mai così irreparabile il distacco tra intellettuali e nazioni come quello che Gramsci nel suo scritto analizza ricavandolo dal processo della cultura italiana.
Però, come dovunque, gli ultimi anni, diciamo quelli seguenti alla prima guerra mondiale, che segnarono il culmine dello sviluppo imperialistico e del fascismo anche in Jugoslavia, anche in Bulgaria e negli altri paesi oggi di democrazia popolare, avevano condotto a fenomeni profondi di separazione tra cultura, letteratura e popolo.
E' tenendo presente ciò che possono interessarci alcuni accenni alla situazione attuale del letterato in quei paesi. Va rilevato subito che là è stata l'ampiezza stessa e la profondità del movimento delle masse a portare il letterato su altre posizioni, a trascinarlo individualmente e come categoria verso una partecipazione diretta e concreta al travaglio della sua società. Di qui ne è derivata per il letterato una revisione completa non solo del suo atteggiamento verso l'arte, ma della sua ideologia, del modo di vedere la propria funzione nella società e quella della propria arte.
A liberazione avvenuta - e mentre il processo di trasformazione perdura dalla realizzata tappa della democrazia popolare verso il socialismo - si è visto come non esistessero più, a far da arbitro tra i letterati e il popolo, quegli "spiriti eletti" di cui Grmamsci parla.
La situazione dei poeti e degli scrittori nell'ambito della società si è mutata nel senso che essi, avendo ristabilito un contatto operante col popolo, hanno acquisito una maggiore dignità, hanno cioè attribuito anche alla loro missione di letterati una funzione sociale. Si è mutata inoltre nel senso che la disgregazione delle forze intellettuali non si rileva quasi più e ciò è dovuto principalmente alla creazione di Unioni Nazionali degli Scrittori. In relazione a ciò anche la situazione economica è notevolmente migliorata: oltre ai diritti per la vendita delle proprie opere, i compensi per le collaborazioni varie, i letterati ricevono in Jugoslavia, attraverso le loro organizzazioni o individualmente, ingenti aiuti dallo Stato sotto forma di sovvenzioni, pensioni, concorsi. Per fare un esempio, il bilancio dello Stato jugoslavo per il 1946 ha previsto 9.950.000 dinari per le pensioni e gli aiuti temporanei a scrittori e artisti, oltre 1.150.000. dinari per i premi dei concorsi.
S'è detto che nelle democrazie popolari continua intenso il processo di trasformazione strutturale verso il socialismo. Di conseguenza, la funzione sociale dei letterati in quei paesi non si identifica con la loro sola attività di letterati.
Ciò significa che i letterati in Jugoslavia, in Bulgaria, ecc. oltre a far della letteratura, hanno dei precisi compiti da assolvere, socialmente operanti in modo più diretto.
Altra cosa è l'URSS. Là, in misura infinitamente maggiore fare anche semplicemente della letteratura significa compiere la propria funzione sociale. Ma è quella una società che ha già realizzato il socialismo, una società positiva, dove le azioni umane contano oggettivamente, per quel che valgono. E avviene, nell'Unione Sovietica, che gli scrittori siano riconosciuti dal popolo e da esso chiamati alle massime responsabilità politiche anche solo per il fatto d'esser scrittori. Citiamo ad esempio Michele Sciolokhov e numerosi altri letterati societici, che sono deputati al Soviet Supremo.
Pietro Zveteremich


“Vie Nuove”, 28.12.1947.


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L'articolo fu pubblicato a corredo di un testo di Antonio Gramsci dal titolo "Gli intellettuali nella società" che riportiamo qui di seguito:

E' da notare come in Italia il concetto di cultura sia prettamente libresco: i giornali letterari si occupano di libri e di chi scrive libri. Articoli di impressione sulla vita collettiva, sui modi di pensare, sui "segni del tempo", sulle modificazioni che avvengono nei costumi, ecc. non se ne leggono mai.
Differenza tra la letteratura italiana e le altre letterature. In Italia mancano i memorialisti e sono rari i biografi e gli autobiografi. Manca l'interesse per l'uomo vivente, per la vita vissuta.
E'un altro segno del distacco degli intellettuali italiani dalla realtà popolare nazionale.
Gli intellettuali concepiscono la letteratura come un "professione" a sè, che dovrebbe "rendere" anche quando non si produce nulla immediatamente e dovrebbe dar diritto a una pensione. Ma chi stabilisce che Tizio è veramente un "letterato" e che la società può mantenerlo in attesa del "capolavoro"? Il letterato rivendica il diritto di stare in "ozio" ("otium et non negotium"), di viaggiare, di fantasticare, senza preoccupazioni di carattere economico. Questo modo di pensare è legato al mecenatismo delle corti, male interpretato del resto, perchè i grandi letterati del Rinascimento, oltre a scrivere, lavoravano, in qualche modo (anche l'Ariosto, letterato per eccellenza, aveva incombenze amministrative e politiche), è un'immagine del letterato del Rinascimento falsa e sbagliata.
Oggi il letterato è professore o giornalista o semplice letterato (nel senso che tende a diventarlo, se è funzionario ecc.). Si può dire che la letteratura è una funzione sociale, ma che i letterati, presi singolarmente, non sono necessari alla funzione, sebbene ciò sembri paradossale.
Ma è vero nel senso, che mentre le altre professioni sono collettive e la funzione sociale si scompone nei singoli, ciò non avviene nella letteratura. La quistione è dell'"apprendisaggio" ma si può parlare di "apprendisaggio" artistico-letterario? La funzione intellettuale non può essere staccata dal lavoro produttivo generale neanche per gli artisti se non quando essi hanno dimostrato di essere effettuvamente produttivi "artisticamente". Né ciò nuocerà all'"arte", forse anzi le gioverà, nuocerà solo alla "bohème" artistica e non sarà un male, tutt'altro.
Cosa deve interessare di più un artista, il "consenso" all'opera sua della "nazione" o quello degli "spiriti eletti"? Ma può esserci separazione tra "spirito eletto" e "nazione"? Il fatto che la questione sia stata posta e si continui a porre in questi termini, mostra per sè stesso una situazione determinata storicamente di distacco tra intellettuali e nazione.
Da chi sono poi gli "spiriti" riputati "eletti"? Ogni scrittore o artista ha i suoi "spiriti eletti", cioè si ha la realtà di una disgregazopme degli intellettuali in combriccole e sette di "spiriti eletti", disgregazione che appunto dipende dalla non aderenza alla nazione-popolo, dal fatto che il "contenuto" sentimentale dell'arte, il mondo culturale è astratto dalle correnti profonde della vita popolare-nazionale, che essa stessa rimane disgregata e senza espressione. Ogni movimento intellettuale diventa o ridiventa nazionale se si è verificata una "andata del popolo", se si è avuta una fase "Riforma" e non solo una fase "Rinascimento" e se le fasi "Riforma-Rinascimento" si susseguono organicamente e non coincidono con fasi storiche distinte, come in Italia, in cui tra il movimento comunale (riforma) e quello del Rinascimento c'è stato un lato storico dal punto di vista della partecipazione popolare alla vita pubblica.
Anceh se si dovesse cominciare con lo scrivere "romanzi di appendice" e versi da melodramma, senza un periodo di andata al popolo non c'è "Rinascimento" e non c'è letteratura nazionale.
Antonio Gramsci