Pietro A. Zveteremich

Aggiornata il 29 Maggio 2009  •  1 Commenti

Simposio a Losanna per Marina Cvetaeva


Marina Cvetaeva è tornata per breve tempo, ma con molti amici ed estimatori, sul boulevard de Grancy a Losanna, la città sul Lemano, dove aveva vissuto fanciulla in una pension pour jeunes filles. La grande poetessa (o poeta?) e scrittrice russa, della quale oggi persino dilaga una moda internazionale a dovuta riparazione d’una vita tragica e di un’opera allora negletta, non da ieri è nota in Italia. Se le antologie poetiche di Poggioli (La violetta notturna, 1933; Il fiore del verso russo, 1949) e di Ripellino (Poesia russa del ‘900, 1954) ne avevano offerto saggi smoderatamente esigui, una sua prosa era apparsa nel 1962 sull’”Europa Letteraria” di Vigorelli; finché un volume di Poesie da me curato (Rizzoli, 1967; poi ripreso in semplice reprint da Feltrinelli, 1979) per la prima volta aveva suggerito la sua vera dimensione al lettore italiano. Recentemente, nuove traduzioni di versi e prose di Serena Vitale e altri hanno riproposto con meritato successo qui da noi la sua immagine.

Ma in tutto il mondo ferve da qualche anno verso la Cvetaeva un interesse di cui s’è fatto un primo bilancio al Colloquio organizzato agli inizi di quest’estate (30/VI – 3/VII) dagli slavisti di Losanna per iniziativa di Robin Kemball, noto studioso dei pensatori russi della prima metà dell’800, della lirica di Blok e della Cvetaeva, della quale ultima ha pubblicato una fondamentale edizione bilingue (The Demesne of the Swans/Lebedinyj stan, Ann Arbor, 1980).

Al Colloquio, svoltosi nel Palais de Rumine, donato alla città di Losanna dall’omonimo gentiluomo russo ancien régime e sede dell’Università, sono convenuti studiosi e specialisti europei e americani per quattro giorni di relazioni e discussioni in lingua russa. C’erano i russi della vecchia e della nuova cultura d’emigrazione, ma non c’erano i russi della Repubblica sovietica federativa russa, perché impediti dalle loro autorità di venire a Losanna. E’ sempre la stessa triste e risibile storia, già accaduta infinite volte. Al Colloquio erano stati invitati V. Orlov, A. Saakjanc, O. Revzina, L. Mnuchin e altri, noti specialisti della Cvetaeva e curatori di sue edizioni in patria, nonché l’ancor vivente sorella della poetessa, Anastas’ja, ma l’Unione degli scrittori (al solito) ha posto il veto, proponendo altri personaggi da essa soltanto conosciuti, talché tutto è finito in un nulla di fatto.

Ma veniamo ai lavori, che praticamente si sono divisi in una prima parte, dedicata alla vita della Cvetaeva; e una seconda parte più attinente allo studio della sua opera. Così Maria Razumovsky (Vienna), autrice d’una biografia della poetessa pubblicata in tedesco, ha parlato del periodo da lei vissuto in Cecoslovacchia (1922-25) grazie anche all’aiuto del governo democratico d’allora e dello stesso tema s’è occupata con acume e passione Galina Vanĕčkova dell’Università di Praga. La Cvetaeva épistolière è rivissuta nelle parole di Alexandre Bachrach, già amico di Belyj, noto critico contemporaneo e memorialista dell’avanguardia russa, il quale ha sostenuto come la corrispondenza di Marina costituisca il miglior contributo dopo Puskin al genere epistolare in Russia. Zinaida Schakovskoj, già direttrice del settimanale “La Pensée Russe” di Parigi, autrice bilingue tra gli altri anche d’un libro su Nabokov, seguendo i propri personali ricordi ha illustrato il periodo parigino della Cvetaeva (1925-39). Con questi interventi si è entrati nel pieno della cosiddetta “marinistica”, come vien detta una corrente di studiosi dell’esistenza e della personalità della Cvetaeva: un campo ancora non del tutto esplorato a causa delle vicende drammatiche della poetessa e della sua opera. Qui si sono particolarmente distinti Viktoria Schweitzer (Amherst, USA), autrice di importanti saggi sul tema, e Simon Karlinsky dell’Università della California. Egli, che tra l’altro ha pubblicato un sollecitante libro su Gogol’ (The sexual labyrinth of Nikolay Gogol’) e una basilare monografia sulla Cvetaeva, nella propria relazione su un mancato viaggio di lei a Ginevra ha addotto materiali inediti e ben disegnato il teorema delle passioni poetico-sentimentali di Marina con le loro fulminee ascese e precipitose cadute. La Schweitzer, invece, ha approfondito con scrupolosa attenzione quel dolente capitolo che fu il ritorno in patria con la tragedia degli ultimi anni (1939-41) fino al suicidio a Elabuga. Sfatando la leggenda secondo cui il governo sovietico e lo stesso Stalin avrebbero caldeggiato il ritorno della Cvetaeva dall’emigrazione, la Schweitzer ha mostrato come la poetessa interessasse al potere solamente in quanto moglie di S. Efron, che a insaputa di lei era stato agente sovietico e s’era fatto “bruciare”. La desolata condizione in cui in Urss fu costretta la Cvetaeva e il fatto stesso che, prima di tornare, avesse affidato il proprio archivio all’Università di Basilea, testimoniano in tutt’altro senso e dicono come la stessa Marina presentisse quale destino l’attendeva in Russia.

Della sua vita e della sorte delle sue opere si sono ancora occupati Richard Davies dell’Università di Leeds, Véronique Lossky di Parigi, Jane Taubman di Amherst (“Pasternak nella vita e nei versi di M. C.”), Robert Hughes dell’Università della California, mentre Ilma Rakuša dell’Università di Zurigo ha illustrato le reminiscenze tedesche nella prosa della Cvetaeva e Georges Nivat dell’Università di Ginevra e direttore dell’importante casa editrice l’Age d’Homme, creata da Dmitrevitch, ha spulciato quanto la riguarda nel famoso Archivio Slonim di Ginevra. Lo stesso hanno fatto John Malmstad per l’Archivio Bakhmeteff della Columbia University e l’ospite Kemball per l’Archivio dell’Università di Basilea, che, insieme ad altre fonti, ha consentito un’esposizione di lettere, manoscritti e fotografie di Marina.

Ma i “marinisti”, sotto la guida di Viktoria Schweitzer, hanno a lungo sviscerato in affollati seminari notturni i molti aspetti della vita della poetessa a Mosca, a Koktebel’ (Crimea), a Berlino, Praga, Parigi, Londra, risalendo fino ai soggiorni giovanili in Italia, Svizzera, Francia e seguendola fino al periodo terribile di Elabuga (Tataria) e della sua fine, sulla quale è stata letta una testimonianza agghiacciante. Grazie alle loro ricerche sono stati riesaminati i rapporti con Rilke e con Pasternak, come col marito Sergej Efron, già ufficiale dei “bianchi” nella guerra civile russa e poi agente-killer dei servizi segreti sovietici, fucilato dopo il rientro in Russia di Marina; con i figli, con la sorella. Sono state anche ripercorse le vicende dei testi, che negli anni dell’emigrazione erano dispersi su riviste di mezza Europa e oggi si vanno raccogliendo nella monumentale edizione in cinque tomi di poesie e due di prose della Russica Publishers di New York con un esemplare saggio biografico della Schweitzer e due penetranti saggi critici del poeta Iosif Brodskij.

E appunto all’esegesi della poesia e della prosa zvetaieviane i lavori del Colloquio hanno dedicato largo spazio, mettendo ancora una volta in luce il loro posto preminente benché solitario nell’avanguardia russa, la loro funzione innovatrice, l’altezza dei risultati raggiunti, la loro assoluta autonomia onde la Cvetaeva attualmente ci appare non semplicemente affiancata a Chlébnikov, Majakovskij, Pasternak, Mandel’štam, Achmàtova, ma non di rado più avanti d’un passo nella ricerca e negli esiti, con suggestioni sovente più produttive per l’oggi. Su questo terreno è venuto un apporto decisivo da Efim Etkind, illustre filologo, teorico e studioso di poetica, cacciato dall’Urss per avere aiutato Solženicyn e dal ’74 professore all’Università di Parigi-X Nanterre, autore di opere fondamentali come Materija sticha (La materia del verso) e Forma kak soderžanie (Forma come contenuto). Al Colloquio egli ha dato un contributo assiduo e molteplice al di là della sua esauriente relazione sulla struttura strofica della Cvetaeva. Non meno pertinente e acuta è stata la relazione di Lev Loseff di Hanover (USA) sulla significanza in questa poesia dell’enjambement, mentre Gűnther Wytrzens dell’Università di Vienna ha trattato della sua struttura ritmica e il sottoscritto (Un. di Messina) del rapporto attivo e reciproco che vi si instaura tra fonema e grafema.

Nikita Struve di Parigi X-Nanterre, redattore dell’importante rivista “Vestnik R.Ch.D.” ha parlato del tema della “separazione” in M. C.; Aleksandar Flakar dell’Università di Zagabria, del suo “eros ribelle”; Serena Vitale (Un. di Napoli) della “logica del sonno-sogno”. Altre relazioni hanno svolto Anya Kroth (Un. California) sui saggi filosofici di M. C.; M.L. Bott (Un. di Costanza) sull’”epitaffio quale principio della poesia di M. C.” e Ieva Vitins dell’Un. di Dalhouisie (Canada) sul poema S morja (Dal mare).

Ma continuare quest’elenco di apporti potrebbe tediare il lettore non introdotto. E’ sperabile che quanto si è qui riferito sia sufficiente a dare la misura del “caso Cvetaeva” e della somma di studi che oggi si focalizzano su di esso. Per gli specialisti uscirà un volume con gli atti del Colloquio. E’ però doveroso aggiungere che, sotto la direzione di Efim Etkind, s’è anche svolto un seminario sulle traduzioni della e dalla Cvetaeva, che possedeva alla perfezione il tedesco e il francese e seppe mirabilmente volgere in russo Rilke e altri poeti. S’è discusso di lei traduttrice, come delle traduzioni dei suoi testi e del problema generale della versione poetica, con interventi di Shimon Markish, G. Nivat, J.C. Lanne, E. Malleret sulle traduzioni in francese ; di G. Wyrtzens e M.L. Bott su quelle in tedesco; di R. Kemball su quelle in inglese; del sottoscritto e altri sui problemi teorici della traduzione.

Si sono lette e confrontate tra loro e con l’originale numerose versioni in varie ligue; e qui un bel successo hanno riscosso i traduttori italiani, tanto che Simon Karlinsky, con il consenso di Etkind e altri, ha sostenuto la tesi che esse sono quelle che più e meglio rendono il testo russo. E chi sa quanto arduo sia il verso della Cvetaeva, sematicamente e sintatticamente, complesso ed ellittico, carico in ogni grafema di significati e intimamente legato a una propria peculiare fonetica, in un tessuto dove il più ardito sperimentalismo si fa risultato, può capire tutto il valore d’un simile riconoscimento.

Pietro Zveteremich


Articolo tratto da "La Nuova Rivista Europea" n. 31, 1982.