Pietro A. Zveteremich

Aggiornata il 29 Maggio 2009  •  1 Commenti

Giuda ha quattro volti


Nel 1956, uno dei massimi poeti russi contemporanei, Boris Pasternak, mandava per vie clandestine in Italia il suo romanzo Il dottor Zivago, colpito da ostracismo in patria. Da allora, ogni anno, e negli ultimi tempi, persino ogni mese, giungono per canali segreti in Occidente opere di poeti, di narratori, di saggisti, che nell’Unione Sovietica sono messi al bando dalla cultura ufficiale e circolano illegalmente nelle faticate copie, mille volte ribattute a macchina del samizdat: le "autoedizioni". I1 flusso si è fatto inarrestabile e prorompente nonostante le persecuzioni: è di ieri la notizia che è stato espulso dall’Unione degli scrittori il poeta e commediografo Galic, noto in tutta l’URSS per le lucide e amare canzoni di protesta; mentre scriviamo queste righe si ha notizia che la Literaturnaja Gazeta attacca Solzenitsyn come un prezzolato della propaganda borghese per aver pubblicato in Occidente il suo ultimo romanzo Agosto 1914. Non si capisce che cos'altro avrebbe dovuto fare uno scrittore di riconosciuta importanza, premio Nobel, il quale non ha mai potuto pubblicare in patria un solo libro, ma soltanto alcuni racconti sulla rivista Novyi Mir, e ciò solo grazie al paternalismo di Chruscev e finché la dirigeva il generoso e onesto poeta Tvardovskij. Ma forse non sono più tanto lontani i tempi in cui qualche opera di Solzenitsyn potrà vedere la luce in URSS, sull'onda della marea oggi montante del nazionalismo panrusso, la stessa che ha riportato alla luce il bel film sul grande pittore monaco Rublev e vede con benevolenza le celebrazioni d'un Dostoevskij panslavista. L’ideologia ufficiale mostra sempre più di preferire questi elementi a qualsiasi discorso marxista. Lo stesso Il dottor Zivago di Pasternak resta troppo "europeo" e attenderà ancora a lungo la pubblicazione in patria, come a lungo l'attenderà questo romanzo Tutto scorre... di Vasilij Grossman, che esce oggi in Italia per i tipi di Mondadori; come l'attendono da decenni le opere di Pilnjak e di Zamjatin, ossia le opere di dibattito intellettuale e di ricerca formale, e qualsiasi opera che in qualche modo attenti al "Cavaliere di bronzo": il simbolo della statalità russa.

Tutto scorre... è un breve, appassionato "romanzo di idee", nel quale l'autore conduce un dibattito a volte accorato, a volte rabbioso, sempre sofferto, con il suo Secolo, con il suo Paese, con la Rivoluzione, con lo stesso Lenin, quale primo demiurgo di tutto ciò che poi seguì, quale primo responsabile dell'immane statalità russa contemporanea. La "novità" del libro sta in primo luogo in questo: d’aver trasferito fra i primi lo sguardo più indietro di Stalin, fino a Lenin e agli eventi della rivoluzione. Ma non si tratta qui d’un saggio storico, bensì d’un romanzo, terminato nel 1963, un anno prima della morte dell'autore, sfuggito alla perquisizione effettuata dalla polizia immediatamente dopo il decesso, circolante da tempo nel samizdat e poi giunto fortunosamente all'estero. In armonia con una vecchia tradizione letteraria tipicamente russa, che sa di "Ottocento", di distanze sconfinate e di umanità dolente, Grossman fa salire il lettore su un vagone ferroviario per consegnargli questo suo ultimo e postumo scritto: con un treno proveniente dalla Siberia arriva infatti a Mosca, dopo trent’anni di carcere e di lager, come se giungesse "dall’altro mondo", il protagonista Ivan Grigorevic. Attraverso la sua ligura di vittima "pensante" d’un grandioso esperimento storico, attraverso la figura a lui opposta del cugino Nikolaj Andreevic, il quale invece con il regime sovietico ha fatto carriera e s'è conquistato un benessere borghese, l'autore porta il lettore a toccare con una mano la piaga viva e sanguinante della storia russa. E' la vicenda stessa del protagonista, sono i suoi ricordi, le reminiscenze di compagni di prigionia, come il terribile destino della "quieta Masenka" (che tanto ricorda la "mite" dostoevskiana), i suoi nuovi incontri, il confronto senza rancore con il cugino, i quadri di esistenza sovietica d’oggi a costruire in modo insensibile tutto lo spessore della vita russa degli ultimi decenni, il suo sentimento, le sue voci. Ed è sintomatico che Grossman, a differenza d’un Pasternak e d’un Solzenitsyn, fosse uno scrittore il quale aveva avuto decenni di piena adesione e fiducia nella rivoluzione; egli era uno dei nomi più noti della letteratura sovietica, nella quale aveva esordito negli anni trenta con romanzi sulla vita operaia, sulla guerra civile e la costruzione socialista. Durante la seconda guerra mondiale egli fu corrispondente dal fronte e seguì le armate sovietiche da Stalingrado a Berlino. Il suo romanzo Il popolo è immortale del 1942 fu considerato uno dei testi esemplari della letteratura sovietica di guerra. Suscitò aspre discussioni, invece, la sua commedia Se si deve credere ai pitagorici... (1947), perché vi si vide un’affermazione della teoria della ricorrenza dei cicli storici. Ouesta critica, insieme ad altre, fu rivolta anche al romanzo Per la giusta causa (1952), ampio affresco della seconda guerra mondiale, violentemente stroncato da Cakovskij, Bubennov e Fadeev, in quanto dava una visione degli avvenimenti bellici nell'URSS che smentiva la storiograiia staliniana ufficiale. Sia l’autore, sia la rivista Novyj Mir, che l’aveva pubblicato, dovettero far atto di pubblico pentimento. Dopo d’allora, Grossman rimase in disparte dalla vita letteraria sovietica, indubbiamente perché gravato da un’ombra di sospetto, ma fondamentalmente per una sua crisi spirituale. Di questo travaglio é testimonianza il romanzo Tutto scorre... la cui meditazione può condensarsi in queste parole del protagonista: "...La Russia aveva veduto molte cose nel migliaio di anni della sua storia. E durante gli anni sovietici, il Paese aveva veduto vittorie militari grandiose, enormi cantieri, nuove città, dighe che sbarravano il corso del Dnepr e del Volga, e un canale che univa i mari, e la potenza dei trattori, e i grattacieli... Una cosa sola non aveva mai veduto la Russia in mille anni: la libertà".

("Epoca", n. 1112, 25-1-1972)

Pietro Zveteremich

II testo di questo articolo era seguito dal capitolo VII di Tutto scorre... in cui si fa il ritratto, psicologico e sociologico, di una figura tipica del periodo staliniano: il delatore. Pietro Zveteremich curò la traduzione della prima edizione in italiano per i tipi di Mondadori. Nel 1987 l'opera fu riedita da Adelphi con una diversa traduzione.