Pietro A. Zveteremich

Aggiornata il 29 Maggio 2009  •  1 Commenti

Gli eredi di Bobok


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E' il manifesto della letteratura del denudamento: del denudamento morale, che Dostoevskij ha sempre perseguito: ma in Bobok, come peraltro anche altrove, egli indica come il denudamento morale possa (e talvolta debba) essere raggiunto dallo scrittore attraverso il denudamento fisico, lo spregio dei tabù, dei limiti, delle norme di comportamento, del costume e dell'ipocrisia sociali. Il denudamento morale, filosofico, in poesia passa necessariamente attraverso l'immagine umana. Ma l'essere umano ha un corpo; i personaggi della letteratura devono « avere corpo » (il che equivale ad avere « un corpo ») altrimenti non sarebbero tali, non sarebbero immagini bensì concetti. Il dibattito morale e ideale nell'arte si attua per mezzo di personaggi che hanno un corpo e grazie a esso vivono, pensano, parlano, mangiano, copulano, viaggiano, ecc. Soltanto dalla realtà (sia pure in un certo senso illusoria) della loro vita corporea i personaggi dell'arte ricevono credibilità e attraverso il suo svolgimento esprimono contenuti filosofici d'ogni sorta. Dove cessa la rappresentazione della corporeità umana nelle sue plurime espressioni, dal pensiero all'atto, cessa la possibilità stessa dell'espressione artistica, che cede il posto alla speculazione astratta.
Per il tipo stesso del suo « pensiero artistico »(5), della sua ricerca sull'animo umano spinta oltre ogni limite, ,Dostoevskij aveva bisogno dei corpi e di muovere i personaggi in situazioni in cui i loro corpi fossero indotti a mostrare le azioni, i gesti, i pensieri più rivelatori. Su questa via egli incontrò sempre molte difficoltà e ostilità. Di Bobok, per esempio, la critica dell'epoca, scrisse che « … la scelta stessa di soggetti del genere produce sul lettore un'impressione morbosa e fa sospettare che l'autore abbia qualcosa che non funziona nella testa »(6). Turgenev, il 6 ottobre 1882, poco più d'un anno dopo la morte di Dostoevskij, scrisse di lui in una lettera: « ... Il aurait pu se souvenir qu'il y a eu dans la lettérature francaise une figure qui lui rassemble beaucoup, à savoir le trop fameux marquis de Sade... Et si l'on pense que tous les évêques russes ont célébré des messes pour notre de Sade à nous, et on même prononcé des homélies sur l'amour universel de cet ami du genre humain!... Où allons-nous? »(7). Bachtin lamenta apertamente come le «... scene di scandali - ed esse occupano un posto molto importante nelle opere di Dostoevskij - ricevettero quasi sempre un giudizio negativo da parte dei contemporanei, e incontrano un tale giudizio anche ora »(8). La sottolineatura è mia e serva al lettore da segnale per quando più oltre si parlerà dell'atteggiamento della critica russa d'oggi di fronte agli autori che trasgrediscono, siano pure tra i più nuovi e importanti della letteratura russa contemporanea.
Per il carattere stesso del « modello artistico del mondo, incomparabilmente più complesso, che egli ha creato »(9) Dostoevskij molto soffri di simili impedimenti e incomprensioni. La sua ricerca non conosceva limiti, ma, dopo la morte, sui suoi manoscritti e sulle sue carte misero le mani la moglie e persone che del suo genio e della letteratura in genere nutrivano un concetto del tutto supino al bon ton. Lo stesso autografo di Bobok non ci è pervenuto (10). Eppure questo racconto non è un episodio casuale dell'opera dello scrittore; ed anzi neppure un momento pur importante, ma marginale. Lo dice (e lo spiega) con tutta la sua autorità Bachtin: « Nel racconto Bobok sono raccolti come in un punto focale i raggi che promanano dall'opera sia precedente che successiva di Dostoevskij. Bobok ha potuto diventare questo punto focale proprio perché è una menippea. Tutti gli elementi dell'opera di Dostoevskij si sentono qui nel loro elemento naturale. Gli angusti confini di questo racconto, come abbiamo visto, si sono rivelati molto capaci »(11). E ancora: « Non ci sbaglieremo affermando che Bobok, per la sua profondità e arditezza, è una delle più grandi menippee di tutta letteratura mondiale » (12).
Più in là Bachtin precisa in modo ancor più circostanziato perché questo racconto sia centrale nell'opera dello scrittore e di quali plurimi significati s'investa. E' doveroso citare: «Facciamo attenzione a quanto segue: il piccolo Bobok (uno dei più brevi racconti a soggetto di Dostoevskij) è quasi il microcosmo di tutta l'opera di Dostoevskij. Moltissime e importantissime idee, temi e figure della sua opera - precedente e successiva - appaiono qui in forma estremamente precisa e chiara. L'idea che tutto è permesso se non c'è Dio, né immortalità dell'anima (una delle idee guida della sua opera), trova qui un'espressione estremamente chiara. Il tema a essa legato della confessione senza ritegno e della 'sfrontata verità', che passa attraverso tutta l'opera di Dostoevskij, a cominciare dalle Memorie del sottosuolo; il tema degli 'ultimi momenti della coscienza' (legato ai temi della condanna a morte e del suicidio); il tema della coscienza che si trova ai confini della follia; il tema della sensualità che penetra nelle più alte sfere della coscienza e del pensiero; il tema dell'assoluta 'sconvenienza' e 'mancanza di dignità' della vita strappata dalle radici popolari e dalla fede popolare, ecc.; tutti questi temi e idee sono mescolati in forma velata o chiara nei confini apparentemente angusti di questo racconto »(13).
E dunque per Bachtin, i cui studi su Dostoevskij godono del più ampio credito e le cui tesi qui si sono volute assumere come punto di partenza, il grande russo si colloca al vertice della secolare storia della menippea. Egli ne ricomincia la storia in epoca moderna: egli scopre il territorio sul quale s'è poi inoltrata tutta la letteratura del nostro secolo. Se Bobok è « quasi il microcosmo di tutta l'opera di Dostoevskij », coloro che hanno goduto e godono di quest'eredità, inesausta cornucopia, non si contano. E tuttavia, poiché la poetica della « confessione senza ritegno e della sfrontata verità », « dell'assoluta sconvenienza e mancanza di dignità », rese anche mediante il denudamento fisico, è in Bobok focalizzata in modo estremo, di esso vogliamo considerare come eredi privilegiati quegli scrittori russi che tale poetica hanno coltivato nel primo '900 e poi ancora nei decenni dell'utopia e della repressione; e che oggi sono uno stuolo d'avanguardia sull'arena internazionale. Questo stuolo ha referenze letterarie di prim'ordine (e basterebbero i nomi di Gogol', Dostoevskij, Leskov, Sologub), tradizioni antiche e recenti, e radici che affondano nel folklore poetico russo, così ricco di satira e di grottesco. E' tuttavia necessario far presente che esso non è in mezzo a un « deserto dei tartari », ma emerge dal movimento letterario russo dell'ultimo quarto di secolo, che è grande e vario nonostante il duro totalitarismo del Paese: le limitazioni, le persecuzioni, la diaspora. Una parte di esso resiste in patria in continua lotta per la propria autonomia (eccezion fatta, naturalmente, per gli autori di regime, i quali non fanno letteratura, ma più o meno dignitosa compilazione); un'altra parte, pur in patria vivendo, pubblica all'estero (spesso anche con rischio) e conta nomi importanti, come Venedikt Erofeev, V. Kormer, Evgenij Popov, Iskander, V. Sorokin, ecc. (nelle più diverse situazioni: da quelle d'emarginazione totale e spesso tragica a quelle di compromesso, fino ai casi di autori le cui opere escono emendate in Urss e integrali all'estero); una consistente parte vive in emigrazione, in una diaspora intellettuale di tali durata e ampiezza (ossia in verticale come in orizzontale) che non hanno termini di paragone nella storia della cultura europea, e rispetto alla quale la diaspora degli intellettuali tedeschi ai tempi del nazismo è breve episodio. Dall'alta e possente voce del mentore Solzenicyn (peraltro spesso, e in particolar modo in Italia, malinteso e certamente boicottato) a un Brodskij, il maggior poeta russo vivente, a scrittori come Nekrasov, Maksimov, Vojnovic, Vladimov, Aksenov, Limonov, Bokov, Aleskovskij e molti altri, ai critici e studiosi, alle voci per il lettore non russo ignote, ma non per questo trascurabili, nasce un'orchestra, un « coro » - come in altra accezione del termine intitolò un suo libro famoso uno dei primi e più noti dissidenti, lo scrittore Terc-Sinjavskij - che rappresenta la schiera più avanzata della cultura russa libera e vitale.



(5) Ivi, p. 353.
(6) Cfr. DPSSN, t. 21, p. 409.
(7)Cfr. H. Troyat, Dostoievsky, Fayard, Paris, 1967, p. 437.
(8)M. Bachtin, op. cit., p. 191.
(9)Ivi, p. 355.
(10) DPSSN, t.21 p. 402.
(11) M. Bachtin, op. cit., p. 192.
(12)Ivi, p. 184.
(13)Ivi, pp. 188-189.